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THE MERLIN BIRD Chapter and verse autoprod. 2014 AUS

Se fosse stato per la copertina probabilmente non avrei mai acquistato questo album: i colori smorti e le tristi sagome delle due maschere che si notano a stento non sono per niente attraenti né attizzano in alcun modo la fantasia. Per fortuna ci ha pensato la musica, in cui sono incappata fortuitamente navigando in rete un po’ alla rinfusa: poche note della traccia di apertura sono state decisive e alla fine eccoci qui. Il gruppo di Melbourne è in pista almeno dal 2003, anno a cui risale l’EP di esordio intitolato “Reason and Rhyme”, recante sulla copertina le solite due maschere con colori appena un po’ più accesi. Dalle varie trasformazioni subite negli anni rimangono soltanto due membri fissi e cioè Dan Moloney e Geoff Dawes (quest’ultimo autore dei testi che, da come è indicato nel booklet, risulterebbero incomprensibili persino a lui), che si dividono fra tastiere, chitarre, voce, batteria e percussioni, più un pugno di amici che comprendono Dave O’Toole e Trevor Carter alla chitarra, Roger Kroger al basso e ben cinque cantanti addizionali, che sono poi quelli a cui maggiormente si deve la splendida riuscita di questo album. “Chapter And Verse” infatti si basa su trame musicali raffinate ma nient’affatto sgargianti, piacevoli nelle loro combinazioni di elementi folk, sinfonici e rinascimentali ma letteralmente sovrastate da parti corali potenti e ben intrecciate, teatrali ed ammiccanti. “Prologue: To the Unknown God”, il brano che mi aveva tanto colpito, ne è una diretta testimonianza. Si nota subito la splendida voce solista di Shakira Searle alla quale si unisce una cascata di cori a cappella con un effetto finale che mi ricorda tanto i Pure Reason Revolution. Il substrato musicale è assai fragile ma estremamente suggestivo, con richiami folk un po’ Tulliani, arpeggi gentili di chitarra acustica e l’organo Hammond che si stacca dallo sfondo in modo dolce e deciso mentre attorno è tutto un fiorire di voci. Questo pezzo, scritto nel 2005, è in effetti uno dei più belli e dei più riusciti. I brani, tredici in tutto, sono stati tutti composti in periodi diversi e, anche se non si percepisce nessuno stacco stilistico fra di essi, devo dire che la loro qualità non è omogenea. Il fascino un po’ pagano di Shakira splende con prepotenza nella successiva “Introduction: Chapter and Verse”, pezzo sinfonico ed ammiccante, dai suoni puliti. La sua voce, contornata da seducenti controcanti, ricorda qui Enya e le atmosfere hanno un che di celtico. Notevole è anche il breve “Words Across the Sky” che si fa notare per la presenza di un canto simil Gregoriano in lingua latina, un po’ opprimente a dire il vero, ma con voci femminili fatate a contrasto. L’altrettanto breve “In Dream of Egypt”, strumentale stavolta, ci regala suggestioni fra il medievaleggiante e l’orientale con un limpido assolo di chitarra alla Latimer. “Of Night and Day, si apre con una spinetta dalle sembianze barocche ma è ancora una volta il canto di Shakira, soave e lunare, a catalizzare l’attenzione. Questa ballad, che a volte ricorda un po’ i Boston, dalle sfumature vagamente anni Ottanta, è fra i momenti più piacevoli del disco, pur nella sua semplicità e nella sua affabilità un po’ radiofonica. Molto belle sono pure le atmosfere sognanti di “The Turning”, brano dagli arrangiamenti ariosi ma piacevolmente assemblati, in cui il ruolo di voce solista è questa volta di Teleri Holton. Infine, fra i momenti da segnalare, inserisco la traccia di chiusura, questa volta dall’incedere quasi regale, interpretata sempre da Teleri, con gli splendidi contrappunti di Shakira. Fra alti e bassi l’album totalizza soltanto quarantasei minuti di durata. Tempo piacevolmente speso comunque che non risente di qualche piccolo inciampo e che sedurrà sicuramente i più romantici di voi.



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Jessica Attene

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