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MECHANICAL BUTTERFLY |
The irresistible gravity |
Ma.Ra.Cash |
2015 |
ITA |
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Dopo alcuni EP strumentali ed importanti cambi di formazione, la prog-metal band di Acireale (provincia di Catania) approda al full-length vero e proprio. Le coordinate, rispetto alla fondazione avvenuta nel 2006, sono in buona parte cambiate: c’è una cantante di ruolo, Francesca Pulvirenti, a cui si affianca la tastierista Laura Basile; accanto al chitarrista fondatore Alessio Oranges ritroviamo il bassista Roberto Marano ed il batterista Toti Bella. Un certo mutamento di coordinate, si diceva. Eppure, all’intro “tecnologica” di “Suoni dalle stelle” faceva seguito un pezzo strumentale significativo come “Labyrinth of Doors”… A qualcuno ha fatto venire in mente “È festa” della PFM; magari può essere anche vero, anche se i riferimenti sembrano essere gli spunti più groovy contenuti nei pezzi dei Dream Theater durante i primi anni ’90, oltre a certi riff dei Liquid Tension Experiment (e sempre di Petrucci & Portnoy parliamo). In effetti la mente ritorna molto facilmente a quel periodo, individuando la connotazione musicale nell’approccio spigliato e melodico tipico del prog-metal italiano. Un discreto inizio quindi, che faceva ulteriormente ben sperare nella prima parte di “Marks of Time”, con un bel basso incisivo ed un flauto (sintetizzato?) in pieno stile Ian Anderson. Ovviamente, questo è bastato affinché qualcuno citasse come fonte di ispirazione per i siciliani proprio i Jethro Tull, i quali non c’entrano assolutamente nulla con tutto il resto dell’album! Il cantato, infatti, ricorda sempre le realtà metal che in quegli anni – strizzando magari l’occhio a qualche ritmica “simil-progressiva” – si avvalevano di voci femminili. Il problema non è certo la brava Pulvirenti, bensì la proposta in sé; chi canta su determinate tonalità e su una ritmica complessa quanto si vuole ma non certo molto varia, non può andare poi così oltre allo sfoggio della propria estensione vocale. Non dando però quel mordente che invece occorrerebbe. Una problematica tipica della maggior parte delle realtà metal e prog-metal con voce femminile, il cui problema pare ben difficile da ovviare, nonostante a parole vi siano tanti fan del genere. Difatti, la lenta “Emerald Tears” è ben altra cosa. Il cantato appare molto più caldo e si dà la possibilità di poterne apprezzare le sfumature. E la situazione va decisamente meglio con “Sparks Within a Downpour”, con buoni solismi tastieristici e la Pulvirenti che si esprime al meglio. Dopo la strumentale “Gravity” chiude la bonus track “La Fenice”. Metal sinfonico piacevole, con un bell’assolo conclusivo di Oranges. Dei Mechanical Butterfly si è già parlato come una delle migliori realtà italiane in assoluto. Si è ovviamente contenti per loro, ma non si vogliono nemmeno creare illusioni, visto l’ampio momento storico in cui (soprattutto per la critica) ogni giorno nascono fenomeni e poi, allo stesso tempo, si sostiene l’esiguità delle idee musicali attuali. Un esordio da sufficienza, che dovrebbe fare da apripista a qualcosa di decisamente più sostanzioso. Sfruttando magari la riconosciuta capacità di creare convincenti soluzioni strumentali, su cui poi la voce possa essere in grado di superare i soliti stereotipi. Davvero molto bella la copertina.
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Michele Merenda
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