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MUSHGOONS Heritage of a syndrome Raffinerie Musicali 2016 ITA

I Mushgoons hanno girato l’ambiente della scena italiana alternativa per almeno un decennio di rock acido, nati nel 2008 come Mirk’o And The Mushgoons, hanno proseguito la loro strada verso traiettorie piuttosto singolari: con un album ancora uscito nel 2012 “Hallucinated Livestock” ed una intensa attività live, sono giunti infine al loro terzo album senza aver perso la loro verve psichedelica e visionaria, anzi, “Heritage of a Syndrome” è un disco di psichedelia bella torbida ed oscura, non particolarmente derivativa e con poca inclinazione al manierismo revival più scontato. Le dinamiche musicali dei Mushgoons mantengono una loro precaria lucidità nel caos avvolgente delle sonorità distorte delle chitarre di Max Delirio, ai confini del live in studio con ampie parti strumentali improvvisate che procedono attraverso ondivaghe fluttuazioni elettriche in continua mutazione tra le distorsioni più dure e liquidi ed ipnotici fraseggi. L’ambizione autoriale si avverte nelle liriche dei brani cantate dal tastierista Federico Sieli insieme alla cantante Patrizia Puddu, con velleità decadenti ed esistenziali di vita e disperazione notturna, l’impostazione generale di questo disco è infatti più orientata verso una forma canzone più accessibile e regolare rispetto alle tipiche estese escursioni strumentali, anche se l’identità del gruppo si consolida sempre nelle jam sessions avvolte in una pesante cappa di fumo kraut-psichedelica... Le sonorità si mantengono tra lo stoner rock più sballato e la psichedelia più viziosa ed allucinata, l’arrivo del tastierista Sieli ha dato una leggera patina di eleganza e profondità alle vorticose ed incessanti improvvisazioni chitarristiche di Max Deliro, talento sregolato che nel suo piccolo ci fa pensare a Syd Barrett come alle lunghe composizioni post acide dei Vocokesh o le distorsioni cacofoniche sulfuree di Paul Chain. L’approccio più consono ai Mushgoons rimane comunque quello live, con tutto quello che di buono e negativo ne consegue, personalmente ho apprezzato maggiormente i momenti più riflessivi e lenti dove l’atmosfera si fa decisamente più dilatata e tesa... Qualche eccesso vocale sopra le righe ed inevitabile risacca ripetitiva a livello strumentale non disturbano comunque l’ascolto di un disco più che intrigante ed a suo modo coraggioso, destinato ad un preciso pubblico di appassionati...



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Giovanni Carta

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