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MOUTH |
Vortex |
Blu Noise Records |
2017 |
GER |
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Questo duo di Colonia abbastanza sconosciuto aveva prima d’ora dato alle stampe solo un album nel 2009 (“Rhizome”) che le cronache ci descrivono come puro hard rock dalle sonorità vintage. Otto anni dopo questa loro seconda uscita discografica è invece decisamente posizionata sullo space rock psichedelico d’inizio anni ’70, con sonorità e stile musicale acriticamente proiettata verso un retro-krautrock piacevole e servilmente compiacente ad orecchie nostalgiche. La band, come accennavo, è composta da solo due musicisti, anche se Jan Wendler, bassista del primo album, è presente in una traccia (che è un movimento della suite iniziale). I due membri rimanenti sono Christian Koller, che canta e suona un po’ di tutto (chitarra, basso, Mellotron, piano, Moog, theremin…), e il batterista Nick Mavridis. L’album consta in teoria di 7 tracce, anche se l’ultima contiene due tracce nascoste e la prima è una suite di 16 minuti, suddivisa in 5 movimenti. La suite iniziale al suo avvio ci fa presagire una band che si avvicina stilisticamente agli Anekdoten ma si sviluppa in modo tentacolare, con escursioni cosmiche e psichedeliche, con suoni talvolta hard, con chitarre distorte, ma più spesso dilatate se non addirittura da trip acido. Prosegue idealmente questo trip la mini-suite “March of the Cyclopes”, di appena 6 minuti, mentre la prima canzone vera è “Parade” che, lo devo confessare, a me ricorda vagamente i Guns’n’Roses. Altrettanto rockeggiante, ma più psichedelica (quasi beatlesiana fine anni ’60), è invece “Mountain”. “Into the Light” è un pezzo abbastanza strano: ripercorre stilemi new Prog ma, come ovviamente gli altri, è suonato con strumenti vintage e suoni psych… come dei Marillion (era Fish) acidi, in un certo senso. Dopo questa fase centrale in cui predomina la forma canzone, anche se in forme decisamente poco pop, l’album si avvia alla chiusura: lo strumentale “Soon After…” ci prende gentilmente per mano per l’ultima parte di questo viaggio e ci introduce alla traccia finale che, come dicevo, racchiude, oltre ad essa, altre due tracce nascoste. ”Epilogue” ha connotati molto floydiani/watersiani e lascia il passo al lungo trip di “Pedalboattrip”, ossessiva ed ipnotica. L’ultima parte è occupata invece da “Floating - End Theme (Sitar Reprise)” che, come dice il titolo, è la reprise dell’ultimo tema dell’ultimo movimento della suite iniziale. “Vortex” è un album gradevole, alla fin fine, decisamente orientato agli amanti del Prog d’annata e psichedelico. Chiaramente niente di innovativo od originale, ma non era certo questo l’intento, ma il risultato è piuttosto gradevole.
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Alberto Nucci
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