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MABEL GREER’S TOYSHOP |
The secret |
autoprod. |
2017 |
UK |
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In un ideale “albero genealogico” che mostra come è avvenuta la formazione degli Yes figura il nome dei Mabel Greer’s Toyshop, una band che nella seconda metà degli anni ’60 ha visto nelle sue fila Peter Banks e Chris Squire raggiunti poi pian piano dagli altri componenti del primo nucleo di quello che diventerà uno dei più celebri punti di riferimento di tutto il progressive rock. Il fondatore di questo gruppo è il chitarrista e cantante Clive Bayley, che proprio dopo la scomparsa di Banks nel 2013 ha ripreso i contatti con il batterista Bob Hager con il risultato di riproporre la vecchia sigla, con la quale è stato pubblicato nel 2015 l’album “New way of life”, dove suonano anche Tony Kaye e Billy Sherwood. Il bis arriva nel 2017 con “The secret”, lavoro di cinquantasette minuti nel quale sono presenti anche Hugo Barré al basso e Max Hunt alle tastiere. La maggiore curiosità di questo cd sta nel fatto che possiamo ascoltare proprio Banks nella title-track. Si tratta di un pezzo incentrato su delle parti di chitarra registrate da Banks, che rappresentano in pratica il punto di partenza sul quale poi Bayley ha costruito la composizione, che, aperta da una bella introduzione di pianoforte, va poi in crescendo con belle melodie vocali e i continui inserti di chitarra elettrica che si sente in lontananza. La sei corde diventa poi protagonista verso la metà del brano con slanci che creano un’atmosfera quasi minacciosa per oltre un minuto. Riprende poi il cantato che prosegue sulla falsariga della parte iniziale, ma con ritmi più incalzanti, fino al finale dove riascoltiamo il piano e veniamo salutati dalle onde del mare. E’ senza dubbio l’episodio migliore, ma resta un episodio un po’ a margine di un album che presenta la ricerca di un connubio tra una forte vena melodica ed influenze di stampo classicheggiante. Ne vien fuori una sorta di pop-prog piuttosto passatista e all’acqua di rose, che mostra un certo romanticismo e che può ricordare stilisticamente i Moody Blues (o, a tratti, i Camel degli anni ’80), anche se con risultati ovviamente abbastanza differenti. C’è da dire che purtroppo il disco soffre pesantemente di una produzione non ottimale: le scelte timbriche e la poca dinamica hanno portato a dei suoni piuttosto cupi e freddi che non rendono giustizia a composizioni che con una maggior cura potevano risultare molto più interessanti. Le citazioni e la dichiarata ispirazione a Tchaikovsky, Beethoven, Holst e Bach si inseriscono abbastanza bene nel contesto e non appaiono forzate, ma non bastano a risollevare in maniera decisa le sorti di un album che, oltre ai difetti già evidenziati, non fa certo dell’originalità e della personalità i suoi punti di forza. Al punto che è quasi da vedere come una boccata d’ossigeno il blues rock di “More and more” (che però si protrae un po’ troppo per le lunghe e non convince nel finale), posto esattamente in posizione centrale della track-list e che vivacizza un po’ l’andamento generale eccessivamente compassato. Lo sfizio di ascoltare un piccolo “testamento” di uno dei membri degli Yes della prima ora probabilmente può spingere all’acquisto di questo cd i fan del gruppo, ma a “The secret” possiamo al massimo assegnare una sufficienza, volendo essere generosi.
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Peppe Di Spirito
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