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THE MAN FROM RAVCON |
Another world |
Mike Brown |
2018 |
USA |
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Questa one man band è attiva dal 2010 e vanta già una discografia abbastanza copiosa, ma dalle nostre parti non se ne è parlato molto. Una breve presentazione diventa così d’obbligo. Dietro la sigla The Man From RavCon si cela il polistrumentista statunitense Mike Brown, che giunge con lo strumentale “Another world” al nono album ufficiale, mantenendo in pratica la media di un lavoro all’anno. Partito con una proposta che puntava su sonorità che ricordavano le colonne sonore degli anni ’70 di spaghetti western, blaxploitation e horror B movies, si è poi orientato negli ultimi anni verso il progressive rock. Per questa occasione, oltre a suonare pianoforte, organo, mellotron e sintetizzatori, si esibisce anche al basso, alle percussioni e alla chitarra e si fa accompagnare dagli ospiti Larry Smith (chitarra) e Jeff Eacho (basso). Ma passiamo subito ai contenuti musicali: l’incipit “Colossus” parte con un sound d’atmosfera, che dopo poco si fa più orecchiabile, dirigendosi e mantenendosi su un rock elettrico/elettronico a cavallo tra Mike Oldfield e Jean Michel Jarre, caratteristiche mantenute bene nella successiva “Satellite flight”. Con dei ritmi elettronici che non sono proprio il massimo ed un forte incremento della vena melodica, eccoci a “Max the Cat”, in cui il flauto detta i momenti migliori di un brano che è una sorta di Camel meets Alan Parsons Project. A seguire, due brani dall’andamento molto simile: “Code red” e “Promised land”; in entrambi una bella chitarra sanguigna ci guida e ci accompagna per mano attraverso un rock sinfonico abbastanza particolare, nel quale il mellotron disegna intriganti atmosfere. Chitarra piangente, mellotron, flauto, ritmi compassati e melodie ariose… In “The garden” i Camel sono sempre più vicini! Si cambia leggermente registro con “A peaceful transation”, nel quale emergono atmosfere delicate che possono vagamente ricordare i Genesis di “For absent friends” e “Dusk”. La title-track è forse il pezzo migliore del lotto, con sette minuti che partono da un indovinato riff di piano che si protrae insistentemente; poi la chitarra prende il sopravvento e, in maniera lineare spinge in più direzioni, tra accelerazioni mai esagerate e momenti più pacati. La chiusura non è delle migliori, col pop elettronico di “Pole to pole”, nuovamente in direzione Alan Parsons Project, ma senza la stessa classe. Come giudicare un album di questo tipo? Sicuramente le buone idee non mancano e la durata di tre quarti d’ora permette di digerire facilmente un disco interamente strumentale, anche se non siamo certo di fronte ad un capolavoro che fa gridare al miracolo. Non esitiamo comunque a giudicare questo cd positivamente, pur con qualche limite mostrato. Per dare un’ulteriore indicazione potremmo dire che il progetto The Man From RavCon può ricordare un po’ un’altra one man band, gli Elegant Simplicity di Steve McCabe, rispetto ai quali, forse, a tratti, incrementa proprio la caratteristica della semplicità. Ecco, se vi piacciono dischi di questo tipo potete andare al sicuro con “Another world”.
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Peppe Di Spirito
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