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LAURA MEADE |
Remedium |
Doone Records |
2018 |
USA |
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Quello di Laura Meade non è certo un nome tra i più noti in ambito progressive, anche ad un ascoltatore attento, ma che si soffermasse solo sul nome di una band, passerebbe totalmente indifferente di fronte a questa autrice. Lei è una delle vocalist degli IZZ, band americana i equilibrio tra un progressive di estrazione sinfonica e un new prog più articolato e spigoloso un po’ sulla scia degli IQ. La Meade, qui in veste di pianista e cantante, è anche autrice della maggior parte dei pezzi, arrangiati assieme al marito John Galgano, polistrumentista, anima degli IZZ e anima strumentale di questo lavoro, nel quale suona tastiere, basso, chitarre acustiche e batteria. Completano la band, alternandosi alle chitarre, alla batteria o agli arrangiamenti orchestrali, anche altri componenti degli IZZ, come Paul Bremner e Greg DiMiceli, oltre a Brian Coralian, Greg Meade e Jason Hart collaboratore anche dei I and Thou, dei Renaissance e dei recenti Camel. Il disco si suddivide in dieci brani nei quali si apprezzano molti momenti di grande liricità, portata con eleganza e sapienza tecnica e compositiva. Grazie a questa si hanno sviluppi strutturalmente importanti, anche quando la voce è supportata da musicalità minimali. Il sound complessivo è quello rimandabile ad altre autrici del pop progressivo, con accenni sperimentali, elettronici e psichedelici, potrei citare alcuni lavori di Kate Bush o di Laurie Anderson. Questo stile appare chiaro in brani come “Dragons” lungo e variabile o come in “Conquer the world” nel quale spunta persino una sezione centrale dai toni folk britannici, vagamente in sapore Fairport Convention. In altri risulta più evidente una metodologia compositiva più diretta e più vicina alla canzone, consentitemi l’uso di questo termine nella sua accezione più elevata. E, pur non essendoci ritmicità decise, è innegabile che brani come “What I see from here” o “Never Remeber” siano riconducibili a ottime tracce pop con linee melodiche davvero azzeccate. Un buon sunto del lavoro, contenente un po’ tutte le tematiche proposte in questo disco e quindi del concetto musicale affrontato, potrebbe essere “Sunflowers at Chernobyl”, brano che non può non colpire positivamente, grazie alla sua funzionalità e alla riuscita melodica e musicale complessiva. Troviamo, come ovvio, anche qualche momento più debole e mi soffermerei in questo caso a “Every Step” che nasce sì da una buona intuizione melodica, ma si perde nella definizione e nel senso della struttura. Non mancano qui e là alcuni sottili rimandi beatlesiani, intrecciati e portati avanti con classe e con timbriche vocali, talvolta fanciullesche e fiabesche dell’autrice, che riescono ad ammodernare tutto in un’amalgama ben riuscita. In conclusione il disco non è solo bello, è uno di quei lavori che ti entrano nel cuore, con la loro carica melodica ispirata e centrata, è un’opera raffinata, di gusto, dotata di momenti emozionanti e terribilmente piacevoli. Non parliamo di progressive complesso e articolato, spesso ci avviciniamo più al pop, ma per quanto ci possano essere momenti vicini al pop – rock, nel lavoro troviamo partiture e linee melodiche molto varie e particolari e la versatilità dell’autrice porta a cambiamenti continui, tali da trasformare brani, forse in apparenza semplici, i piccoli gioielli, capaci di richiedere di essere riascoltati ancora e ancora.
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Roberto Vanali
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