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MOTIS |
Déglingo |
Musea Records |
2019 |
FRA |
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Sono passati quasi vent’anni da “À Chacun Son Graal”, debutto discografico di Motis, alias Emmanuel Tissot, che firma con questo nuovo lavoro la sua settima produzione in studio. Ad accompagnarlo in questa nuova avventura ritroviamo il batterista Tony Carvalho, che lo affianca da un paio di album a questa parte, ed il bassista Martial Baudoin, new entry risalente al precedente “Josquin Messonnier”, concept vecchio ormai di cinque anni. Come al solito il nostro Emmanuel, oltre ad aver composto i testi ed il grosso della musica, si occupa del canto e della abbondante componente tastieristica, grazie a un parco strumenti che comprende Hammond, Rhodes, Clavinet e l’immancabile Mellotron. A questi si aggiunge un bouzouki elettrico che dona qua e là una vaga e speziata componente folk a uno stile che più o meno fedelmente ci viene riproposto negli anni con poche variazioni. Chi conosce i Motis sa già cosa aspettarsi e cioè un prog di matrice sinfonica dalle sonorità vintage che deve molto alla scuola francese, Mona Lisa e Ange in primis, in cui prevalgono i testi, come sempre poetici ed interpretati in modo espressivo e teatrale. Una bella sorpresa è costituita dalla presenza di Christian Décamps in persona, ospite nella sola “Monsieur Machine”, che ci offre un cameo irresistibile, a dimostrare tangibilmente l’amore di Tissot per lo storico gruppo francese. Questo brano in particolare è un piccolo gioiello di sinfonicità in forma di semi ballad in cui prevalgono i suoni arpeggiati e le voci dei due istrionici menestrelli che si stagliano su pregiati fondali di Mellotron. Salvo qualche eccezione, prima fra tutte l’articolata traccia di chiusura, “L’Effet Overview”, priva di parole, non ricorderemo questo album per i momenti strumentali, preziosi ma estremamente contratti, quanto per i testi che in alcuni casi sono particolarmente belli e ricchi di pathos. “La Fièvre de l’Or” parla dell’avidità umana, male senza fine che tiene in ostaggio la vita di persone assetate di ricchezza. “Cavale” ci offre uno scorcio sulla misera esistenza di chi è costretto a lasciare la propria terra alla ricerca di luoghi senza cicatrici. La componente strumentale è come al solito melodica e sinfonica ma ancora più musicali sono le parole, concatenate in modo piacevole e sapiente. “Peut-être” rappresenta l’incertezza del futuro e la vaga speranza di poter rivedere la luce in un presente distrutto dalla guerra. “Somnambule” parla degli schiavi moderni imprigionati in una realtà virtuale fatta di pixel mentre “Nature” celebra l’immensa bellezza della natura vista come luogo in cui rifugiarsi. Ma lascio a voi il piacere di scoprire tutte le storie narrate in questo nuovo album che scorre piacevolmente dall’inizio alla fine anche se in modo forse un tantino più monotono che in passato. L’aspetto letterario, pregevole senza dubbio, forse va in quest’occasione un po’ troppo a discapito della musica e non mi dispiacerebbe se Tissot dovesse decidere in futuro di potenziare una narrazione sonora che in queste canzoni fa un po’ troppo da cornice e poco da scenografia in cui far vivere i testi. Lo strumentale in chiusura è lì per farci sognare soluzioni più audaci che spero di poter ascoltare in futuro, nel frattempo questo album si conferma un interessante diversivo per chi ama il prog sinfonico d’oltralpe.
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Jessica Attene
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