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MIOTIC Ctrl+A Luminol Records 2018 ITA

Il trio bolognese formato dal chitarrista Davide Badini, il bassista Andrea Burgio e dal batterista Nicola Benetti registra in presa diretta nell’anno 2017 il successore di “Antinomia” (2013), anche se già aveva esordito in studio nel 2010 con l’EP omonimo. Un lavoro nuovamente all’insegna del cosiddetto math-rock, (sotto)genere suonato prevalentemente in ottavi e definito per l’appunto “matematico” nella sua esplicazione. Ritmiche serrate e altamente complesse, che all’ascolto possono anche suonare fredde e impersonali proprio come una funzione algebrica, caratterizzata da parametri tipo elevazione a potenza e parentesi quadre. Anche il titolo di questo nuovo lavoro induce a fare il medesimo tipo di riflessioni, dato che si tratta della combinazione di tasti del pc con cui si evidenzia velocemente il testo di un file word. I brani iniziali viaggiano su queste coordinate, a partire dagli effetti in apertura di “Qiz”, che però mostra una certe verve e un uso del basso assolutamente di altissimo livello. Le cesellature della chitarra, poi, sono un chiaro riferimento ai King Crimson ottantiani, con la batteria che deve fare gli straordinari per stare al passo con gli altri due strumenti. “Ctrl+Z” (combinazione che serve a cancellare quanto appena scritto) diviene ancora più caotica e chi non è appassionato di tali contorsioni passerà subito avanti. Ben altra cosa è invece “Famara”, che ha una partenza tipo una bossanova “matematicizzata” e va salendo sempre più di giri, prendendosi delle pause per poi riprendere a vorticare, prima di una seconda parte decisamente fluida nel senso psichedelico del termine.
“Kew” coniuga algebra all’ispirazione andalusa, puntando brevemente verso il caos degli elementi e quindi passare a fasi che vanno man mano rilassandosi. Un passaggio ben evidente anche nella successiva “The Man Who Laughs”, che da ruvidi incastri crimsoniani passa nuovamente alla quiete psichedelica, anche in questo caso non molto lontana dalla creatura di Robert Fripp. È un passaggio cruciale dell’album, che poi viene ben condensato nelle variazioni e distorsioni conclusive di “Make Us Whole”, la cui prima parte è la summa del mare lisergico a cui si guarda quando si vogliono smorzare i toni. A proposito di quiete decisamente singolare, la finale “Pioneer One”, col suo basso che scandisce le fasi, suona come uno strano ibrido tra un funerale ed una cupa preparazione per andare nello spazio… Che le due sensazioni siano tutt’altro che estranee l’una all’altra?
Mettiamola così: gli amanti del succitato math-rock, post-rock e post-metal – cioè stili che secondo qualcuno farebbero parte della concezione odierna di progressive rock, essendone la sua evoluzione (?) – accoglieranno benissimo questo ritorno del trio emiliano. Anche perché non c’è alcun dubbio riguardante la loro preparazione tecnica. Gli altri è possibile che saltino a piè pari, nonostante siano innegabili i riferimenti alle partiture più caotiche proprio dei King Crimson. Qualcuno apprezzerà, nonostante non si tratti di Fripp e compagnia bella, facendo crollare quindi ogni dogmatismo? Difficile… Anzi, molto improbabile. Ma alla fin fine non impossibile.



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Michele Merenda

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