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RICK MILLER |
Belief in the machine |
Progressive Promotion Records |
2020 |
CAN |
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Rick Miller è un musicista e compositore canadese attivo sin dai primi anni ottanta, inizialmente dedito ad un genere elettronico debitore dei lavori che i Tangerine Dream sfornavano in quel periodo controverso e ad una new age dichiaratamente orientata al rilassamento, sicuramente aderente ai canoni del genere ma poco attraente per un ascoltatore dedito alle complicazioni musicali del progressive rock. La svolta per Miller avviene con la pubblicazione nel 2004 del primo lavoro ispirato, secondo lo stesso musicista, a Genesis, Moody Blues e Pink Floyd. Da allora in poi è un susseguirsi di dischi pubblicati con cadenza regolare caratterizzati da un sound melodico con venature dark e incursioni nel metal e nella fusion. L’ultimo lavoro è “Belief in the machine”, nel quale Miller suona tutti gli strumenti a parte la batteria e alcune parti di violoncello, flauto e chitarra. L’album è il risultato del consolidamento dello stile del canadese maturato nel corso degli anni. In esso troviamo parti strumentali non complesse e in realtà poco affini allo stile Genesis citato. Ci troviamo perlopiù dalle parti dei Pink Floyd degli anni ottanta, quelli di “A momentary lapse of reason”, con un apprezzabile sforzo teso alla creazione di un proprio stile.Le tracce hanno durata generalmente bassa, anche poco più di due minuti, ma spiccano “Correct to the core”, che supera gli undici minuti, “The trial”, di quasi dieci minuti, e “The need to believe”, di poco inferiore ai sei. In realtà il disco si presta molto bene ad essere ascoltato nella sua interezza, data la sua omogeneità stilistica, anche se nel dettaglio sono presenti tracce più “oscure” e dall’andamento teso o malinconico (le più numerose, tra cui la già citata “Correct to the core”), altre con una maggiore enfasi sulla melodia (“The inward eye”, parte prima e seconda, e “The need to believe”) e alcune a caratterizzazione più ambient, con la conclusiva “The trial” a condensare assieme tutte queste caratteristiche. “Belief in the machine”, è un lavoro che denota una notevole esperienza, sia nella parte strumentale che in quella della produzione. Miller riesce a confezionare un album abbastanza immersivo, fatto soprattutto dell’intrecciarsi di atmosfere. Di un certo impatto anche l’alternarsi delle melodie, tutte ben caratterizzanti, e gli arrangiamenti, molto curati e basati sull’alternanza di parti elettriche e acustiche, con un occhio al definire in direzione ambient l’intero lavoro. Non ultime, le pregevoli parti di chitarra, con abbondanza di assoli perfettamente inseriti nel contesto. Per trovare un difetto, dobbiamo cercarlo nella forse eccessiva omogeneità delle parti vocali, che però non fanno discostare troppo il giudizio finale per un buon disco dall’ascolto piacevole.
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Nicola Sulas
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