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MAGICK BROTHER AND MYSTIC SISTER |
Magick brother and mystic sister |
Sound Effect Records / The John Colby Sect |
2020 |
SPA |
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Questa band di Barcellona si è data un nome che ricalca il titolo dell’album d’esordio dei Gong… e questo è già molto indicativo delle loro intenzioni musicali. In effetti le radici del gruppo affondano ai primi anni del secolo, quando Eva Muntada (piano, synth, organo, Mellotron e voce) e Xavi Sandoval (basso e chitarra) ebbero modo di incontrare Daevid Allen ad un festival a Canterbury. L’atmosfera magica del festival (in cui suonavano anche Caravan e Arthur Brown) e del luogo misero le prime basi per la formazione della band alla quale si aggiunsero col tempo anche Marc Tena (batteria e voce) e Maya Fernandez (flauto). Nonostante le premesse, direi che la loro musica solo in parte risulta ispirata ai Gong, presentando molti connotati che possano far scomodare similitudini con i Caravan, gli Egg ed i Pink Floyd di “Atom Heart Mother”. Il sapore generale ovviamente è molto sixties, con molti piacevoli aromi psichedelici che vengono trasportati dalle instancabili note di flauto. L’album è costituito da 10 canzoni di durata abbastanza limitata ed omogenea, con una punta che non arriva ai 7 minuti. I brani sono in parte strumentali ma anche quelli che presentano linee vocali (in cui si alternano Eva e Marc, queste non sono assolutamente oppressive e, anzi, risultano molto discrete, quasi timorose di essere troppo invadenti e occupare troppo la scena, contribuendo a creare un’atmosfera magica e onirica. Si preferisce in effetti dar spazio alle parti strumentali in cui, si diceva, il flauto spesso assume il ruolo di solista, con evoluzioni e trilli gioiosi che si librano sulle note delle tastiere (sulle quali spicca sovente un piano elettrico molto alla Caravan) e su una ritmica ben calibrata, piacevole e mai sopra le righe. I brani hanno spesso caratteristiche cinematiche e possiamo anche immaginarcele come ideali colonne sonore di film o documentari dai colori ancora incerti dei primi anni ’70, come le tenui note jazz di “Love Scene”, le delicate colorazioni psichedeliche di “Instructions for Judgment Visions” o ancora le sognanti e caliginose note della conclusiva “Les Vampires”, quest’ultimo il brano più lungo e che presenta maggiori variazioni al suo interno. Sembrano ormai un ricordo le note magnetiche di “Utopia” e delle altre canzoni della prima parte dell’album, dal mood più coinvolgente… ma non per questo la carica emotiva ne risulta scemata. Benché, appunto, le altre tracce siano piuttosto brevi e abbastanza lineari, l’opera si assapora come un tutt’unico, gustando ogni singolo episodio come una parte di un quadro sonoro ammaliante ed ipnotico che rappresenta senz’altro una delle più belle novità musicali di quest’anno, da sorseggiare in un silenzio mistico.
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Alberto Nucci
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