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MYTHOPOEIC MIND Hatchling Apollon Records 2021 NOR

Steinar Børve, sassofonista e tastierista dei Panzerpappa, nel 2019 ha esordito con questo suo progetto personale a cui partecipa anche stavolta buona parte dei Panzerpappa stessi assieme ad altri musicisti che conosciamo per la militanza in altre bands quali Gentle Knife, Wudewuse e Jordsjø.
Il primo album (“Mythopoetry”) non è che si sia guadagnato apprezzamenti particolarmente entusiastici, forse perché la musica in esso proposta era percepita come né carne né pesce, senza una distinta personalità. In questo secondo lavoro Børve sembra aver voluto fare qualche timido passo in direzione di un Prog sinfonico più convenzionale, pur non disdegnando le atmosfere più tipiche del gruppo madre, con un approccio comunque sempre eclettico che nelle 5 tracce spazia attraverso vari mondi musicali, dal Canterbury all’elettronica. Il risultato è nuovamente un po’ altalenante, anche se momenti apprezzabili sono decisamente più individuabili al suo interno.
La prima traccia “Fear Fiesta” è tra questi; dopo una introduzione affidata a una strana ripresa di “Summertime, la voce della cantante Veronika Hørven Jensen, proveniente dai Gentle Knife, dalla timbrica che ricorda un po’ Jon Anderson, ci prende per mano su una base vivace che ci riporta un po’ ai tardi anni ’60, con atmosfere blandamente flower power su cui si innesta una strumentazione più vicina a sonorità e ritmiche alla Gentle Giant. Più misteriosa la successiva “Winter of '73”, decisamente psichedelica e spacey e in cui il cantato si riduce a dei vocalizzi in lontananza che fanno da contraltare a una batteria quasi tribale che lascia poi spazio ad una chitarra nervosa e sinuosa che si rende protagonista nel resto della traccia, col sax che timidamente va poi a coadiuvarla nel finale in crescendo.
“Fog Vision” si muove sinuosa su sonorità elettroniche accompagnate da una languida tromba; un cantato etereo si innesta poi su queste nebbiose visioni e la traccia si trascina così fino al termine dei suoi 8 minuti e mezzo, con brevi e timidi innesti musicali. “Cottage of Lost Play” mantiene l’impostazione elettronica e un’andatura molle e indolente, quasi a naturale continuazione della traccia precedente, con la voce di Veronika, stavolta più chiara e solare, che prende finalmente la scena, tra melodie lente ma contorte, con innesti strumentali buffi e bizzarri.
La title track chiude l’album (per chi usufruisce della versione su Bandcamp ci sarebbe anche una bonus track) ed è la più lunga del lotto, arrivando a superare gli 11 minuti. Anch’essa si muove inizialmente in modo lento, stavolta su sonorità acustiche, prima che la traccia cominci lentamente a crescere per assestarsi su atmosfere jazz-canterburyane, con un finale strumentale in cui stravaganti intrecci strumentali vanno ad innestare influenze folk.
Non ho ancora sinceramente deciso se si tratti di un buon album o meno. Forse la sua parte centrale risulta eccessivamente soporifera, considerato il resto delle tracce. Forse Børve dovrebbe semplicemente decidere in quale direzione vuole che questo suo progetto si muova, cercando di dargli una personalità che, al momento, risulta ancora piuttosto confusa.



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Alberto Nucci

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