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MARK MURDOCK |
Visitors from another planet |
Cymbalic Records |
2021 |
USA |
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Nell’anno 2021 il batterista/tastierista statunitense Mark Murdock – stanziato al momento presso Shinjuku (Giappone) – si è dimostrato parecchio prolifico. Prima di questo “Visitors…”, infatti, era stato pubblicato il precedente lavoro solista “The phoenix has raisen”, a cui occorre poi aggiungere “Oblivion bound” in coppia con Dmitry M. Epstein. Bisogna inoltre ricordare, tra le tante collaborazioni nel suo curriculum, quella con Peter Banks (primo chitarrista degli Yes), quella con la realtà più orientata verso il jazz-rock a nome Cymbalic Encounters (assieme a John Goodsall e Percy Jones, rispettivamente chitarrista e bassista dei seminali Brand X), senza dimenticare gli attuali Masheen Messiah. Pare che l’incontro con il collega Phil Collins, durante un tour dei Genesis negli USA, abbia fatto sì che il batterista dell’Arizona entrasse poi in contatto con i due musicisti poco sopra citati, in quanto Phil – lo ricordiamo – era anche il batterista proprio dei Brand X. Ma l’evento deve aver smosso pure qualcos’altro, perché il neo-prog su cui si basa questo album somiglia molto allo stile dei Genesis, soprattutto quello portato avanti subito dopo essere… rimasti in tre (chi conosce la discografia della band avrà ben capito l’allusione). Anche la scelta di mettere Tim Pepper (The Id) alla voce solista è emblematica, denotando una timbrica assolutamente in stile Collins, anche se meno grintoso di quanto fosse lo stesso Phil ai vecchi tempi. Tredici tracce, decisamente tante, troppe, in un album in cui non è che vi sia chissà quale apice creativo e/o emozionale, con un andamento quasi sempre uguale a se stesso. Il tentativo è quello di creare un altro tipo di dimensione sonora, di esplorare nuovi approcci compositivi, ma alla fine sembra tutto una minestra riscaldata. Ci sono comunque alcuni episodi da segnalare, come “The River of Illusion”, evidenziata anche per la presenza di Derek ‘Mo’ Moore e Ron Howden, cioè bassista e batterista dei Nektar, altra storica band. Un pezzo che diviene man mano sempre più solenne e a suo modo drammatico, soprattutto quando subentrano gli interventi chitarristici di Fernando Perdomo (altro nome con cui il titolare di questo lavoro ha collaborato in passato) e di Preston Murdock, che conferiscono sicuramente sostanza ed emotività alla composizione. Howden fa il suo ritorno dietro le pelli anche nella strumentale “Sub-Reactional Stratospheric Complex”, in cui però – nonostante i numerosi ospiti indicati – non è dato sapere chi suoni la chitarra, che invece riveste un ruolo significativo, soprattutto nella seconda parte. Viene da pensare che potrebbe trattarsi dello stesso Mark Murdock. Un album con tanti ospiti, si diceva; oltre a quelli già citati, occorre ricordare il chitarrista Katsumi Yoneda (TEE e French TV), i batteristi Ric Parnell (Atomic Rooster, Spinal Tap) e Alan Childs (David Bowie), tanto per nominare quelli militanti in compagini più note. Il succitato batterista di Bowie appare su “The Purveyors of Underwold Ideas”, dal sapore inizialmente commerciale ma che vede Preston Murdock alle sei corde rendere la situazione un po’ più “seria”, assieme ai repentini passaggi tastieristici, confermando che questo lavoro rende al meglio negli episodi strettamente strumentali, nonostante permanga sempre la sensazione di stanchezza latente. Ma magari era solo il tentativo di ricreare uno stato di vuoto, per dar luce ad una specie di tematica cosmica in stile Stanley Kubrick. Non ci si addentra ulteriormente nell’analisi, anche perché i detrattori dello stile esaminato non ci penseranno certo ad avvicinarsi a questa pubblicazione. Chi invece apprezza, un pensierino comunque glielo farà. Tanto per dovere di cronaca: la versione digitale prevede un paio di bonus tracks, per un totale di circa ottanta minuti.
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Michele Merenda
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