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MOON LETTERS |
Thank you from the future |
autoprod. |
2022 |
USA |
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Il prog made in USA si conferma in ottima salute con un susseguirsi di pubblicazioni di qualità elevata anche in questo 2022. Sono recenti le uscite dell’album d’esordio dei Birth (band formata da due ex-Astra… ricordate “The weirding”?), e il terzo lavoro di quei “pazzoidi” dei Bubblemath che rappresentano solo la punta dell’iceberg di un movimento vivace e composito di cui fanno legittimamente parte pure i Moon Letters. La band aveva esordito nel 2019 con “Until they feel the Sun” che presentava un sound piuttosto personale ed eterogeneo che spaziava da sonorità heavy a quelle folk e quasi bucoliche. Con “Thank you from the future” tutte le buone impressioni risultano confermate e pure amplificate. Sempre all’insegna di brani articolati, piuttosto concisi (il picco è rappresentato dai 7 minuti di “Fate of the Alacorn”…), senza riferimenti “storici” ben definiti, tanto che il suggerimento ricevuto di scorgervi un sentore dei primi Echolyn mi pare piuttosto appropriato (con tutti i “rischi” di questa affermazione così impegnativa…). Prima di addentrarci nell’ascolto dell’album, una citazione doverosa va alla splendida copertina dell’artista argentino Mariano Peccinetti: un prato fiorito, in pieno sole (mentre il cielo è notturno, con Saturno all’orizzonte) con una donna (in bianco e nero) intenta a fotografare due bimbi “arcobaleno” ( il futuro?). Bellissima! Due mondi, il passato ed il futuro che si incontrano e si fondono, quasi ad anticipare la musica che ascolteremo. Ed eccoci pronti ad immergerci nei quaranta minuti di “Thank you from the future”. Le melodie ci conquistano, sempre scorrevoli e ben inserite in un contesto ritmico complesso ma, al tempo stesso, godibile, per nulla artefatto o, peggio, stucchevole. Ed è proprio qui, probabilmente, che la band vince la propria sfida. Riscontriamo un gran gusto per le rifiniture, per i “solos” (chitarre o synth che siano), per la musicalità che permea l’intero lavoro e anche per essere “moderatamente”… concisi. Sette sono le tracce previste. I due brani iniziali sono fra i migliori: “Sudden sun” e “The hrossa”. Intricata ed intrigante la prima, con avvolgenti cori ed incastri tastiere-chitarra davvero notevoli che avvicinerei, per modalità espressive, proprio ai Bubblemath meno “cerebrali” e più melodici; mentre appare più convenzionale la seconda, con un inizio soft, scandito dall’espressiva voce di Michael Trew, e poi ripetuti e poderosi riff della chitarra di Dave Webb. “Circoletto rosso” pure per “Isolation and foreboding” con il basso di Mike Murphy in grande spolvero, ritmiche non convenzionali, prima dell’ingresso del flauto. Una chitarra elettrica sempre ruvida anticipa una improvvisa schiarita, grazie ancora dalla voce, prima che un elettrizzante “solo” di sintetizzatori porti alla chiusura del pezzo. Notevole anche “Yesterday is gone”, con i suoi saliscendi sonori ed avvincenti trame strumentali, mai banali. “Sinfonicissimo” e grandioso il finale. In tutto questo crepitio sonoro non sfigurano, “Child of tomorrow” splendidamente interpretata da Trew e “l’echolyniana” e multicolore “Fate of the Alacorn”, una ulteriore piccola gemma posta all’interno di un lavoro godibilissimo dal primo all’ultimo istante.
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Valentino Butti
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