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MYTH OF LOGIC Surrounded by ghosts autoprod. 2022 USA

Myth Of Logic is rooted in a deep love of Progressive Rock of all eras, but primarily that of the 1970s”.
Quale presentazione potrebbe stimolare di più l’interesse di un appassionato di quella che Scott Davis fa del proprio progetto? Purtroppo non si tratta di una vera band bensì, appunto, di un progetto prettamente solista in cui il non più giovanissimo Davis canta e porta la croce, affiancato, ma solo in una traccia, dalla voce della moglie Angie. Dalla sua base operativa di Saint Petersburg (in Florida… non in Russia) il musicista confeziona comunque un album molto ben fatto in cui la sua condizione di one-man-band non condiziona in maniera sensibile la riuscita di un album che ci vuole narrare, attraverso numerosi simbolismi, la storia di Robin, un uomo che dovrà trovare il modo per sconfiggere un nemico misterioso ed apparentemente invincibile e fuggire dalla sua prigione.
Dal punto di vista strettamente musicale, l’album, suddiviso in 9 tracce, tiene decisamente fede alla premessa del titolare del progetto. Non si inizia col botto… almeno dal punto di vista dell’impatto sonoro: “Here”, la traccia d’apertura, è un brano d’atmosfera caratterizzato da una chitarra quieta e da un cantato poco più che sussurrato che solo sul finale dà spazio a un bell’assolo di tastiere. I fuochi d’artificio iniziano con la successiva “The Stone House” su cui idealmente aleggia lo spirito di Keith Emerson, grazie ad un organo in primo piano che inevitabilmente ce ne stimola il paragone. Ha un mood decisamente più americano (Kansas… Boston…) la successiva “Born To the Sky” in cui i cori dal sapore AOR si alternano a svisate e soli di tastiere.
“Scars Lament” è bel brano Prog, ben equilibrato stavolta, in cui il cantato si eleva finalmente di tono e duetta magistralmente con le tastiere. “Hollow Body” vede finalmente farsi luce la chitarra, finora relegata a ruoli marginali, anche se sempre sottoposta al piacevole dispotismo delle tastiere e di un cantato che pare davvero aver trovato soluzioni espressive convincenti, visto che nelle prime tracce risultava un po’ sottotono e non molto efficace.
“Strange & Beautiful” è un brano melodico con alcune discrete parti di chitarra ma, tutto sommato, passa via senza lasciarci troppi ricordi. “Live the Sound” è invece un brano decisamente più movimentato che sconfina nello hard rock ma costituisce essenzialmente poco più di un intro alla canzone più lunga dell’album, “Crucible”, che nei suoi 12 minuti tondi sfodera tutte le armi in possesso del musicista, alternando momenti di chitarra acustica a situazioni più movimentate e di pur Prog sinfonico. Spazio poi per la title track che conclude l’album con un concentrato di melodia e di sensazioni delicate in cui si fanno ancora spazio le tastiere con assoli emozionanti che toccano inesorabilmente la sensibilità dell’ascoltatore.
Un album decisamente interessante che non racconta niente di innovativo o di originale ma, come abbiamo visto, non era certo questo il suo intento.



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Alberto Nucci

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