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MOURNING KNIGHT A World of dreams autoprod. 2023 USA

Il primo nucleo dei Mourning Knight risale agli anni ’90 come progetto personale di Jason Brower; nel 2007, in una pagina MySpace che venne costruita ad hoc, venne caricato abbastanza materiale per una ventina di album. Dopo di ciò il progetto venne accantonato e Brower fondò prima i Ceiling Unlimited, coi quali pubblicò un album, e poi entrò a far parte, per un solo album, degli Shadow Circus. Nel 2021 Brower riprende in mano il materiale dei Mourning Knight e, assieme a Norm Dodge, già nei Ceiling Unlimited, pubblica finalmente l’album d’esordio per l’ormai attempato moniker.
Due anni dopo, viene pubblicato questo “A World of Dreams” che vede la presenza anche della vocalist Nancy Scorcia, anch’essa proveniente dai Ceiling Unlimited. Brower suona batteria, tastiere, organo e Mellotron e sua è anche la voce solista; Dodge suona invece chitarra e basso mentre la Scorcia, oltre alle parti di cantato, contribuisce alla chitarra acustica.
Il risultato è un gradevolissimo album di buon vecchio Prog sinfonico, influenzato da Genesis e Pink Floyd ma con numerosi echi di new Prog britannico. La realizzazione è senz’altro influenzata anche dall’autoproduzione e dai mezzi tecnici limitati; si percepisce chiaramente una registrazione abbastanza casereccia e perfettibile che inficia solo in parte l’ascolto ma che d’altro canto dona autenticità e ci fa percepire passione ed entusiasmo da parte dei musicisti. La lunga (17 minuti) “A Fractured Fairytale” ci accoglie all’interno dell’album in maniera positiva e già sufficientemente interessante, con Mellotron e tastiere spesso in primo piano; è però la successiva, più breve, “The Great Escape” che cattura maggiormente l’attenzione, con bei passaggi strumentali e melodie che raggiungono l’obiettivo di tenerci incollati all’ascolto.
“Return To Earth” torna a superare i 10 minuti ma appare un po’ moscia e stiracchiata, anche se non certo da buttar via, nonostante le parti vocali (in cui finalmente si sentono maggiormente quelle femminili) lente ed arrancanti. “Duel in the Sun” torna su buoni livelli di intrattenimento con note di hard Prog sostenute da una chitarra finalmente in primo piano, il ruggito dell’organo e una ritmica sopra le righe.
Siamo arrivati alla chiusura dell’album… ma non così presto: i 14 minuti di “The Harlequin’s Carnival” ci separano dalla fine e trascorriamo questo tempo godendoci quella che forse è la miglior traccia in assoluto, con passaggi ad effetto, cambi di tempo, atmosfere sognanti ed accelerazioni improvvise.
Un album divertente, senza dubbio… anche se spesso si ha quasi l’impressione di ascoltare un vecchio demo-tape. Se non si è perfezionisti audiofili si può benissimo riuscire a chiudere un occhio su queste sbavature, ma maggior ragione se si ricerca un tipo di Prog sinfonico che rimanda senza troppi compromessi ai decenni passati.



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Alberto Nucci

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