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MESAVERDE All is well Apollon Records 2024 NOR

I Mesaverde, quartetto di Oslo giunto alla sua seconda prova discografica dopo l’esordio del 2022 intitolato “KY”, si presentano al loro pubblico dicendo di avere un piede nel Prog e l’altro nel Pop. Nulla di male in fondo, a meno che non si voglia spacciare certe attitudini come innovative (cosa che è espressamente dichiarata nel loro “Bandcamp”) in un mondo musicale che fin troppo spesso ripete sé stesso convinto di poter trovare la propria originalità rimescolando vecchi ingredienti verso i quali gli ascoltatori più smaliziati e non di primo pelo sono ormai confidenti.
Tutto questo panegirico per dire che Lars Fremmerild (basso), Jonas Lundekvam (voce e tastiere), Henrik Schmidt (chitarre) e Jørgen Apeness (batteria) non sfuggono a certe considerazioni, abusando di riferimenti ai grandi del passato che vengono convogliati in una formula musicale di stampo pop, spesso incentrata su sonorità molto reminiscenti degli anni Ottanta. Il sound è in questi casi piuttosto tastieristico con escursioni nello Space Rock e nella New Wave ma si tratta più che altro di piacevoli sfondali i quali scorrono su ritmiche scarne e geometriche che fanno da base ad un cantato soporoso e privo di grossi slanci. Il gruppo più presente fra i riferimenti dei Mesaverde è forse rappresentato dagli Yes di cui vengono emulate le produzioni più mature. Si inseriscono in questo filone brani come “Eyes”, “Endurance” o “Story”. Anche la performance di Jonas Lundekvam alla voce ricorda in un certo senso lo stile di Jan Anderson senza che ne vengano eguagliate le grandi capacità artistiche. Le tonalità sono spesso ovattate e le colorazioni spente, raramente i ritmi si fanno serrati, come accade ad esempio in “Pyramid Fucksnake” che viaggia a velocità un po’ più marcata rispetto al resto dell’album, procedendo senza grossi scossoni sull’onda di cori cantabili e soffusi, appena sostenuti dalla chitarra elettrica che preferisce agire nelle retrovie, concedendosi come velleità giusto un fugace assolo. Un brano come “Pickings for the Beast” ci riporta più puntualmente forse ai Marillion mentre “Eva” ha dei connotati più prettamente Genesisiani, con i suoi eleganti arpeggi acustici e le sue trasparenze sinfoniche.
Non metto in discussione l’esperienza dei musicisti e certamente riconosco che questi brani posseggono degli spunti potenzialmente interessanti ma credo che sia necessaria un’elaborazione più profonda e meno epidermica se si desidera affondare almeno un piede nel Prog. Se poi l’intento è quello di scaldare appena un po’ le fredde atmosfere boreali allora l’obiettivo potrebbe considerarsi centrato.



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Jessica Attene

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