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NEXUS Perpetuum karma Record Runner 2007 ARG

Già dall'ottima prova offerta sul concept dedicato all'Odissea, "Odyssey: the Greatest Tale'', realizzato dalla rivista finlandese Colossus, si iniziava a pregustare l'arrivo imminente del nuovo album in studio dei Nexus, finalmente uscito, a distanza di sei anni dall'ottimo "Metanoia". Il gruppo si era presentato in forma smagliante, dimostrando di saper dominare composizioni complesse e di lunga durata senza far cadere mai l'interesse nell'ascolto. Ecco quindi il nuovo lavoro, il terzo in studio (escludendo ovviamente il live del 2002), e la curiosità, già molto forte, è solleticata dal corposo libretto che riporta con cura i testi originali e la loro traduzione in inglese, più una serie di foto; una rapida occhiata ci fa capire che si tratta di un concept dedicato all'ascesa spirituale dell'umanità verso l'illuminazione che si sviluppa attraverso sei lunghi pezzi, con una traccia di apertura che supera i 17 minuti. E in effetti questo album rende benissimo l'idea di un'ascesa progressiva, dominata da sonorità ampie e luminose, da temi musicali squisitamente sinfonici che vengono ampiamente sviluppati, in maniera distesa, senza inutili sovraccarichi di note, e che sembrano avvolgere completamente l'ascoltatore con la loro pienezza ed il loro splendore. Non siamo molto lontani da "Metanoia", anche se in questo frangente la band sembra addirittura essere migliorata, raggiungendo una maggiore fluidità ed un'espressività più incisiva. Come al solito le parti cantate passano in secondo piano rispetto alle poderose arie strumentali e sembrano quasi dare il LA ad una serie di emozioni che poi verranno sviluppate in maniera più profonda dalla musica. Notiamo che il ruolo di cantante solista è passato da Mariela Gonzalez al chitarrista Carlos Lucena, con l'intervento in due tracce dell'ospite Lito Marcello; la cosa non dispiace più di tanto perché le parti vocali sono gradevoli e si integrano ancora bene nel contesto sonoro. La musica è uno scintillante art rock sinfonico e romantico, derivativo nei contenuti e dominato dai suoni di tastiere di Lalo Huber, sempre protagoniste e sempre esuberanti, con Mellotron, Hammond, organo liturgico e sintetizzatori vari che si prodigano in lunghi assoli e che disegnano le melodie più impressionanti dell'opera. Non di rado proprio i suoni di tastiere ci riportano agli EL&P, anche se a prevalere sono atmosfere di stampo new prog; ma non pensate allo scialbo new prog che spesso viene proposto oggigiorno dai gruppetti innamorati dei Marillion, in questo caso la musica è calda, ricca di passione e di un fascino latino tutto particolare. Passando da un brano all'altro non si ha la percezione di ascoltare tracce separate e la musica sembra quasi essere un tutt'uno che attraversa varie fasi in maniera graduale in cui si alternano atmosfere meditative, a tratti quasi Floydiane, intermezzi schioppettanti con fraseggi barocchi neoclassicheggianti, momenti Emersoniani alla "Tarkus", arie sinfoniche distese dal retrogusto Marillioniano, il tutto sempre dominato da quell'inconfondibile gusto sudamericano di comporre melodie ed esprimere con grande passione le proprie fantasie. Davvero positivo il fatto che non si riescono ad esaurire i contenuti sonori dopo soltanto un ascolto ed il piacere si protrae ripetendo l'esperienza, fatto questo che conferma la grandezza (non solo in minutaggio, che raggiunge quota 72) di questo lavoro. Un grande album di prog romantico, come ne escono sempre più di rado.

 

Jessica Attene

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