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NORDAGUST In the mist of morning Karisma Records 2010 NOR

Questi norvegesi, giunti all’esordio discografico nel 2010, ma attivi dal 1999 e che avevano già realizzato diversi demo, si presentano attraverso paragoni con gli Anglagard, gli Anekdoten e i Landberk. E bisogna dire che le atmosfere del brano di apertura “In the mist of morning”, che dà il titolo al cd, possono far presagire grandi cose e far pensare che certe similitudini con gli svedesi non siano così campate in aria, anche se una maggiore somiglianza può essere vista con i connazionali Kvazar. Quelle atmosfere drammatiche, brumose e malinconiche, il mellotron e i rimandi crimsoniani sono tutti elementi di grande fascino, che possono far sicura presa su chi ha sempre amato quel tipo di sound molto in voga in Scandinavia negli anni ‘90. Il prosieguo dell’album, tuttavia fa notare però alcune differenze abbastanza marcate. Mancano, infatti, quelle dinamiche imprevedibili che caratterizzavano “Hybris” e “Epilog” e che facevano passare da cavalcate furiose nel nome di Re Fripp a momenti estremamente romantici guidati da strumenti acustici. Né si intravede l’eleganza dei Landberk o l’irruenza degli Anekdoten. L’album dei Nordagust preme maggiormente su una componente che definirei gotica. Più passano i minuti, più veniamo oppressi da sonorità dalle venature oscure che, unite al canto strascicato di Daniel “Solur” Solheim, fa pensare più ai Devil Doll che alla scena scandinava. Certo, a questo punto immagino che i nomi, sicuramente “pesanti”, utilizzati per indicare le influenze della band abbiano stuzzicato la fantasia di molti di voi, ma bisogna dire che, nonostante le buone intenzioni ed alcune ottime intuizioni, i Nordagust non riescono a convincere in pieno. L’album, in sé e per sé, è valido, contiene anche musica di un certo spessore, ma allo stesso tempo si mostra un po’ acerbo. Alcuni temi indovinati sembrano non venire sviluppati a dovere e i connotati dark a lungo andare stancano un po’. Ci sono però alcuni pezzi da novanta, come la title-track cui abbiamo già fatto cenno, la delicatezza di “In the woods”, “Elegy” che alterna echi crimsoniani e passaggi classicheggianti, la stessa “Forcing”, vicina ad un “gothic sinfonico” di qualità (e qui possono venire in mente i Therion meno pacchiani). Siamo quindi di fronte ad un gruppo che mostra buone idee, che ha realizzato un album non perfetto e non privo di ingenuità, ma che sono sicuro otterrà il consenso di chi ha nostalgia di quelle sonorità tipiche degli artisti citati nella recensione, nonostante le indicate diversità della proposta. Limando certe ingenuità e le esasperazioni dalle tinte fosche potranno fare grandissime cose


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Peppe Di Spirito

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