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NEKTAR Remember the future Bacillus 1973 (Purple Pyramid Records / Cleopatra Records 2013) GER

I Nektar fanno parte di quel manipolo di band “minori” che negli anni ’70 provarono a fare il grande salto, e che riuscirono nell’intento con risultati più o meno commisurati alla propria importanza nell’ambito del genere progressivo allora di moda. Il grande salto è ovviamente quello attraverso l’oceano, nel quale si arrischiò, tanto per restare in Italia, anche la PFM.
I luoghi che attraversano la storia dei Nektar in realtà si estendono principalmente in tre nazioni, coinvolgendo, oltre gli Stati Uniti, la Germania, con Amburgo città dove nacque il nucleo originario della band, e l’Inghilterra, terra di provenienza di tutti i componenti. I primi album parlano un linguaggio che abbraccia psichedelia, space rock, kraut rock e hard rock, ma non riescono a lasciare il segno presso un vasto pubblico, nonostante la qualità evidente. E’ probabilmente col terzo “…sounds like this” che le cose cambiano. L’album è un doppio pesantemente basato su jam da studio, ma con un approccio più rock e melodico che apre la strada nel 1973 a “Remember the future”, pubblicato anche in America, dove entra addirittura nelle classifiche dei dischi più venduti di Billboard. È il via per la conquista del nuovo mondo, dove i Nektar riscuotono un discreto successo e un buon numero di presenze nei concerti del loro tour.
Quali sono i motivi di questo apprezzamento? Basta ascoltare “Remember the future” per scoprirlo. L’album è un palese tentativo di adeguare il proprio sound ai gusti del pubblico americano. Le due suite che compongono il disco sono infarcite di suoni e ritmi che strizzano l’occhio alla melodia e al groove del funk e in generale della black music, in una miscela amalgamata ai temi psichedelici e progressivi comunque dominanti. In entrambe le tracce troviamo così sezioni che fanno largo uso di ritmiche di chitarra filtrate col wha-wha, di parti vocali armonizzate dal vago sapore west-coast e di tempi percussivi in levare che anticipano addirittura i cliché della disco music. Il tutto in una felice sintesi con le più “europee” sezioni basate sul rock psichedelico e le gustose e varie jam strumentali, con la chitarra di Roye Albrighton protagonista in assoli e arpeggi sempre molto presenti e caratteristici. Il risultato finale è convincente, anche perché la parte musicale ammiccante al pubblico americano non tende a prevalere, e l’insieme è di assoluta qualità.
Questa ristampa, pubblicata in occasione dei quarant’anni di pubblicazione dell’album, aggiunge un altro disco denominato “The 1970 Boston tapes”, il quale contiene qualche radio edit di “Remember the future” e delle registrazioni antecedenti l’esordio discografico della band, interessanti perché acerbe ma già denotanti lo stile dei lavori successivi, che difatti ne recuperano alcuni temi. La ristampa è ben fatta e presenta un art-work curato e alcune note che riepilogano la storia dell’album. Per chi non conoscesse i Nektar si tratta quindi di un acquisto valido, soprattutto se paragonato ai lavori dell’ultima incarnazione della band, sempre guidata da Roye Albrighton e fresca di pubblicazione di un album di inediti insieme all’onnipresente Billy Sherwood, e di uno di cover di classici del rock, infarcito di ospiti illustri ma sostanzialmente poco interessante.



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Nicola Sulas

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