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NÜMPH Theories of light autoprod. 2014 ITA

Tornano a distanza di due anni dal loro EP d’esordio i carraresi Nümph, che con il loro primo full-length album mostrano maturazione e solidità. Un lavoro di copertina molto bello fa da cornice a tematiche riflessive, ultraterrene, che guardano oltre questa sfera dell’esistenza, dettate da una musica che comunque non può essere definita propriamente “progressiva”. Sicuramente sono stati smussati i “pesanti” spigoli di “Four zoas”, ma la musica continua a ricordare per lunghi tratti una specie di Soundgarden che, approdati miracolosamente nell’oscuro fermento post-grunge, a tratti scoprono una bizzarra assonanza con uno dei tanti momenti nella lunga storia floydiana. Si tratta di impressioni sfuggenti, perché in realtà la musica del Nümph è molto viva anche nei momenti maggiormente riflessivi, rimanendo però più vicina al concetto di rock vero e proprio. Di certo, la potente voce di Marco Bartoli marchia a fuoco l’intero sound, dettando di volta in volta i tempi di esecuzione. Parlando dei Soundgarden, non si può non pensare all’impostazione vocale in tipico stile Chris Cornell, soprattutto se si dispone di ampie tonalità di estensione. Tra l’altro non si esita nemmeno ad usare il growl, qualora il pezzo lo richiedesse nell’economia della propria trama, come accade nell’iniziale title-track (qualcuno penserà pure ai vecchi Opeth?).
Probabilmente, la chiave di accesso al filone progressivo è da individuare nell’abilità del batterista Giuseppe D’Aleo, davvero tentacolare ed energico – ad esempio – nella potente “Jacob’s Ladder”, costringendo Antonio Conti (basso) a fare gli straordinari per stargli in qualche modo dietro.
Sarebbe poi interessante appurare cosa sarebbe capace di combinare il chitarrista Luca Giampietri se lasciato da solo e quindi libero dai limiti che una band spesso pone all’espressione solista, affinché non si prevarichi il lavoro di gruppo; questi, infatti, si mostra molto incisivo, suonando note non certo banali, che però si interrompono proprio quando sembra che l’assolo stia finalmente per entrare nel vivo, come nella lunga “Dust of Souls”, nel finale trionfante di “Death and Rebirth” o nel bel mezzo di “Within the Core”.
Però, nonostante tutto sia ben suonato, alla lunga il contenuto rischia di stancare. La formula adottata la si individua abbastanza presto ed i motivi di particolare attenzione durante l’ascolto – dovuti soprattutto all’impatto iniziale – vengono meno. Si conclude con l’eterea “An Angel”, irreale, malinconica ed aperta alle varie interpretazioni fin dal suo breve testo.
Come al solito, gli incalliti progsters snobberanno i dignitosi Nümph. Tutti gli altri, invece, per fortuna daranno loro un ascolto e non è escluso che più di uno, di primo acchito, ne rimanga piacevolmente colpito. Anche se un’opinione corretta andrebbe data dopo un attento esame…
Se volessimo usare una metafora scolastica, potremmo metterla così: per il momento, la band di Carrara passa l’ipotetico anno con una chiara sufficienza, non mettendo completamente a frutto le sfavillanti promesse che aveva fatto intravedere. L’anno prossimo, però, affrontando materie più impegnative, potrebbe non bastare. Ergo, occorre maggior impegno e meno rilassamento da parte di chi ha mostrato di avere fin dal principio buone possibilità.


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Michele Merenda

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