Home
 
OMEGA X To a debt that was never ours Emphyrio Records 2013 BEL

Gli Omega X, abbreviazione di “Omega Xentauri” (dal nome dell’ammasso globulare più vicino al nostro sistema solare, nella costellazione del Centauro), sono una creatura del chitarrista belga Erik Callaerts (ex White Fang, Backslider e Fireforce). Dopo aver inciso nel 2008 la canzone “Solar Flame” come demo, prende forma l’idea di creare qualcosa di più concreto con altri strumentisti, cosa che è poi avvenuta nel 2010 grazie al debutto “The promise”. Nel 2011 ricomincia la ricerca di nuovi musicisti per andare stavolta “on the road” e realizzare un secondo album, cioè questo “To a debt…”.
Lo stile del gruppo belga non è poi così inquadrabile nei (peraltro ampi) parametri prog, in quanto i loro sinfonismi battono senza dubbio – anche per loro stessa dichiarazione – il territorio gothic metal. Ci potrebbero essere delle attinenze con il prog metal, cosa che su questo nuovo lavoro dovrebbe essere maggiormente accentuata rispetto all’esordio, ma sembra comunque poco per parlare di una uscita progressive. La chitarra del leader è senza dubbio l’elemento più interessante e convincente, così come dimostrato nell’intro “moresco-metallizzata” dell’iniziale “Fallen from grace”, ma anche nelle altre parti chitarristiche presenti sia nella traccia appena citata che in quelle della seguente “Asteri”. Il grosso problema, però, è che innanzi tutto la produzione continua a suonare in stile “demo fatto in casa”. Manca infatti quello spessore, quella robustezza capace di non far avvertire il sound come qualcosa di piatto, sempre uguale a se stesso. Un fattore, questo, importante sia se si volesse porre l’attenzione su una proposta hardeggiante che su un’altra più eterea. E siccome Callaerts e compagni propugnano a parole un sound che dovrebbe comprendere entrambe le caratteristiche, sarebbe il caso di pensare a dei seri miglioramenti per il futuro. Soprattutto la batteria presenta uno scadente suono da anni ’80 più scalcinati ed anche le tastiere dovrebbero essere assai più piene, capaci di dare la giusta profondità. Inoltre, i pezzi sono tutti molto lunghi, basti dire che la più breve, “Angel of death” (un potenziale assalto metal carente della giusta verve), dura quasi nove minuti. Sembrano davvero quindi troppi gli oltre diciotto minuti di “Ethereal spirit”, presentando il deficit di non riuscire a mantenere l’attenzione viva per tutto il tempo necessario. E parliamo anche della voce femminile: non basta il bel tono melodioso, l’estensione deve venir fuori e necessita che incida sulla musica lasciando profonda memoria di sé.
Lo si ribadisce: nei vari pezzi la chitarra di Callaerts fa la parte del leone, ma questo accade anche quando un adulto gioca a calcio con i ragazzini. A meno che quest’ultimi non siano dei fenomeni destinati a consacrarsi, ma purtroppo, almeno per adesso, non sembra che il gruppo sia su questi livelli. Un peccato, perché così rischiano di svalutarsi anche le potenzialità del loro master mind.
Pensaci su, Erik. Sei bravo, non buttarti via così. Non ti accontentare.


Bookmark and Share

 

Michele Merenda

Italian
English