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MIKE OLDFIELD Man on the rocks Virgin 2014 UK

Dimenticatevi le suite. Dimenticatevi il tema di “Tubular bells” (finalmente!). Dimenticatevi qualsiasi tipo di sperimentazione. Dimenticatevi la musica classica di “Music of the spheres”. Il nuovo album di Mike Oldfield non è altro che una collezione di undici canzoni pop-rock semplici, dirette, senza fronzoli e senza ricorso a trucchetti elettronici (niente computer, loops, drum-machines, ecc.). Il nostro pubblica un disco improntato all’immediatezza, suonato con strumenti veri (e ben cantato da Luke Spiller), caratterizzato da una serie di brani molto orecchiabili, con tanto di ritornelli che con pochissimi ascolti restano bene impressi nella mente. Insomma, “Man on the rocks” è fondamentalmente destinato agli ammiratori dell’Oldfield di “Moonlight shadow” e non a chi non si stanca mai di “Tubular bells” e “Incantations”. “Orrore!”. Con ogni probabilità sarà questa la reazione per molti dopo aver sentito per la prima volta l’album, abbinata alla voglia di non concedergli nessun’altra possibilità e di tirare fuori dalla finestra il dischetto a mo’ di frisbee. D’altronde, dopo i fasti degli anni ’70, l’artista ci ha abituato ad una carriera altalenante, con brutture e pesanti cadute di tono alternate a lavori dignitosi e brillanti. In questa occasione è innegabile che Oldfield abbia puntato sulla semplicità, eppure ad ascolti più attenti si possono notare costruzioni create con una certa eleganza e l’edizione deluxe del disco, grazie al cd bonus contenente le versioni strumentali degli stessi undici brani, permette di fare venire di più a galla la notevole cura presente nei processi di arrangiamento che ci sono alla base. In particolare si può ascoltare meglio il grande lavoro alla chitarra di Oldfield. E’ vero, c’è l’occasione in cui fa un po’ il verso a The Edge, nonché qualche momento un po’ banale qua e là, ma meritano attenzione gli arpeggi acustici pastorali, i momenti solistici di notevole classe, le melodie raffinate (a volte nemmeno così distanti dai Marillion post Fish) e alcune costruzioni non così ordinarie come potrebbero apparire ad un primo ascolto distratto. Incredibile, in particolare, la trasformazione di “Nuclear”, piuttosto scontata ed anche un po’ fastidiosa nella versione cantata, ma che rivela inaspettate e sorprendenti reminiscenze crimsoniane in quella strumentale. In “Man on the rocks”, quindi, gli elementi per attirare ci sono, ma stiamo sempre parlando di un disco pop, su questo non si sfugge. E’ fatto sicuramente bene, ma se siete troppo legati a composizioni particolarmente articolate, se siete allergici ai refrain ripetuti e se il solo termine “pop” vi crea prurito, meglio che ne stiate lontani.


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Peppe Di Spirito

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