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OUT OF THE BEARDSPACE Endless pursuit autoprod. 2017 USA

Quest’album delizioso mi ha colto completamente di sorpresa, ignaro com’ero, prima di trovarmi alle prese con esso, dell’esistenza di questo gruppo che ha già dato alle stampe (o al download) alcuni album e singoli prima di questo. La band, che si spende attivamente per la promozione di uno stile di vita sostenibile, organizzando anche un piccolo festival annuale sull’argomento, si è formata nel New Jersey nel 2010 dopo che i membri si erano conosciuti alla School of Rock, e si è già fatta conoscere in giro, a dire il vero, anche grazie alla partecipazione ad alcuni eventi quali il ProgDay.
La musica che il gruppo, formato da 6 musicisti e rimpolpato da alcuni ospiti, ci propone è davvero eclettica, spaziando dal Prog sinfonico alla Yes o Spock’s Beard (o anche Echolyn) al pop di classe (non disdegnando talvolta anche ritmiche e sonorità contemporanee e mainstream), dalla fusion, anche con echi zappiani o progressioni funky, all’indie rock… con atmosfere spesso impregnate di psichedelia morbida e melodica. Detto così può sembrare un calderone un po’ caotico e neanche troppo digeribile, letto in prospettiva. In realtà il risultato funziona a dovere ed i quasi 80 minuti di musica contenuti in quest’album riescono a non fiaccare troppo l’animo dell’ascoltatore (come al solito non condivido molto la scelta di confezionare album così lunghi), con 10 canzoni dalle caratteristiche eterogenee, con situazioni e umori mutevoli anche all’interno dello stesso brano.
Notevoli ad esempio i 10 minuti di “Can’t Find the Time”, ricca di cambi di atmosfera e con un finale rock trascinante. Molto bella anche la psichedelica “Dirge”, che qua e là riecheggia qualcosa a metà strada tra Zappa e Santana.
Inutile ripercorrere le tracce una ad una, ma basti ricordare la carina ed accattivante canzone che apre l’album (“Intent to Express”), cantata da una voce che, di primo acchito, sembra femminile ma che appartiene a uno dei musicisti (maschi) che si alternano, o si affiancano, davanti al microfono nel corso del disco.
“Lunar Pull”, la traccia più lunga dell’album coi suoi 13 minuti, ha connotati più marcatamente Prog, con una prima parte yesseggiante e una parte centrale fusion, ricca anche di virtuosismi che sfociano in un’infuocata ed avvincente jam. Menzione anche per “Rise out of the Ashes”, dalle tonalità drammatiche ed I suoni distorti come in nessun’altra parte dell’album.
L’album si conclude infine, subito dopo l’episodio meno convincente del lotto (“Sacrifice”), con i 10 minuti della rock extravaganza di “Closer to the Source” in cui accelerazioni hard rock lasciano il posto a lunghi momenti rilassati, con impasti vocali beatlesiani che si riversano infine in un pezzo di fusion sinfonica con partiture complesse che chiude in crescendo questo bel brano e l’album intero.
Un album che mi permetto quindi di segnalare perché per me ha rappresentato una graditissima sorpresa. Come al solito, se non ci si ferma a quanto propongono le solite playlist mainstream (sì, anche nel mondo del Prog ha senso questo termine), c’è la possibilità di scoprire tantissima ottima musica.



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Alberto Nucci

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