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ONE NOW AGO No one's listening autoprod. 2019 USA

Dietro a questo brillante album di solido Progressive Rock c’è Steve Carlisle, musicista multi-strumentista proveniente dall’area di Philadelphia. Accanto a lui, che si occupa delle parti vocali, delle chitarre e delle tastiere (ma forse anche di altro, visto che i credits non segnalino ad esempio chi suoni armonica e flauto), ci sono altri musicisti d’esperienza quali il batterista Ritchie DeCarlo (che ha suonato con Percy Jones, Scott McGill e Tony Levin tra gli altri) ed il bassista Dave Kloss nonché il vocalist Cary Newell che si aggiunge agli impasti vocali del leader della band.
L’avvio dell’album ci fa immaginare di avere a che fare con degli emuli del New Prog inglese, ascoltando i suoni delle tastiere dell’opener “Open Your Mind”. E’ solo una prima impressione, dato che comunque i semi di quanto ascolteremo più avanti già sono ampiamente udibili. In effetti, suoni delle tastiere a parte, siamo all’interno di un territorio che riconosciamo appartenente ad Echolyn, Spock’s Beard, Yes e Gentle Giant e nelle tracce successive questo diventerà ancora più evidente. La prima delle tre parti in cui si articola la title track, ad esempio, disseminate in varie parti dell’album, ci propone delle intricate ritmiche ricche di variazioni quasi schizofreniche e dalle tonalità luminose, con liriche spesso frenetiche; niente di cervellotico o di tendente al RIO, comunque. “Losing Touch”, la traccia più lunga coi suoi 9 minuti scarsi, inizia in modo pacifico e confidenziale ma ben presto le ritmiche, in cui riconosciamo la base fusion dei musicisti, comincia a decollare e sono ben pochi i momenti di pausa che ci vengono concessi, con scambi interessanti tra chitarra e tastiere che segnano l’impetuoso procedere della canzone.
E’ con la seconda parte della title track, preceduta dal breve e delicato intermezzo di “Peaceful Place”, che le influenze Gentle Giant salgono prepotentemente alla ribalta: le melodie sinfoniche e gli impasti vocali polifonici che la caratterizzano non lasciano spazio a dubbi. Adesso l’album ha tutta la nostra attenzione e da qui in poi l’ascolto sarà definitivamente tutto in discesa, malgrado alcuni brani e ritmiche che incontreremo nel seguito non siano propriamente amichevoli ed agevoli. E’ il caso di “Part of All” che (anch’essa) inizia dolcemente ma che poi parte per la tangente, unendo melodie sinfoniche e ritmiche complesse per un risultato decisamente interessante. Molto bella anche “Tales from the Kupp”, con una bellissima seconda parte in cui le influenze fusion prendono un po’ il sopravvento. L’album ha rappresentato una gradita sorpresa e, nonostante all’inizio lo avessi un po’ snobbato, ha saputo crescere notevolmente ai successivi ascolti.



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Alberto Nucci

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