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PINEAPPLE THIEF |
137 |
Cyclops |
2002 |
UK |
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Più simili ai Radiohead o agli Anekdoten? Questo è il dubbio che mi tormenta lasciando scorrere le 13 tracce del secondo lavoro di questo quartetto inglese. E il dilemma rimane: se il disco si snoda su atmosfere post-rock un po' floydiane più tipiche dei primi, pur non mancano le spigolose progressioni dei secondi, le sfuriate strumentali che, aiutate anche dall'uso del Mellotron ed altri ninnoli analogici, davvero ricordano da vicino i lavori della band svedese. I Pineapple Thief, per chi non lo sapesse, sono un side-project del batterista Nick Lang, già nei Vulgar Unicorn. Dall'Unicorno Volgare questi Ladri d'Ananas prendono sicuramente il gusto per le atmosfere rarefatte, molto spaziali ma sicuramente meno stralunate, con un utilizzo più intensivo della chitarra e meno di effetti strani. Si tratta di un album elegante e raffinato in sostanza, che anche nei momenti di maggior slancio non perde mai la sua compostezza, il suo senso melodico, i suoi riff accattivanti (senza troppe strizzate d'occhio all'orecciabilità comunque) e le sue tentazioni psichedeliche. L'album si dipana fluidamente, confondendo un po' una traccia con l'altra nella mente dell'ascoltatore ma facendole apparire come un tutt'unico che si sviluppa per 70 e passa minuti (troppi... come al solito), guidati dall'azzeccatissimo cantato di Bruce Soord. Un album che, con questi chiari di luna, potrebbe avere altre ambizioni che non solo il ristretto mondo del Prog; glielo auguriamo, ai Pineapple Thief.
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Alberto Nucci
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