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PILGRYM |
Pilgrimage |
Holyground |
2004 |
UK |
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Questo è senza dubbio un album che entrerà immediatamente nel cuore di chi ama un progressive molto lineare, che prende spunto dai classici degli anni ’70 e che sa essere anche molto orecchiabile. Emblematica, in tal senso, l’opener “Circus of the absurd”, che mescola il più classico rock sinfonico, momenti strumentali floydiani e parti vocali immediate a cavallo tra prog e AOR. E l’intero “Pilgrimage” è così strutturato, tra radiose parti tastieristiche, in cui mellotron e organo Hammond ci riportano indietro nel tempo, guitar-solos à la Gilmour, composizioni a lunga gittata che prevedono i più classici cambi di tempo e di atmosfera e melodie tutt’altro che complesse, ma che permettono di instaurare un feeling diretto ed spontaneo tra l’ascoltatore e i Pilgrym. I paragoni, lampanti e prevedibili, vanno fatti con i primi eroi del rock sinfonico, dai sempre presenti Genesis ai Barclay James Harvest, dai King Crimson dei primi due lavori a ELP, artisti ai quali vanno aggiunte le influenze classicheggianti e quelle di quei gruppi quali Kansas, Asia e Styx che si sono fatti conoscere per merito di quella felice contaminazione di progressive, pop e hard rock. Nove le tracce presenti (due bonus: una dal vivo ed una versione edit) nel debutto dei Pilgrym, tra le quali mi preme segnalare in particolare il gioiellino strumentale “Song of the albatross”, che in sette minuti regala emozioni e intensità. Questa band britannica sicuramente non sarà il massimo dell’originalità, ma è stata capace di realizzare uno di quei dischi scevri da difetti e che ad un giudizio globale vanno considerati più che sufficienti.
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Peppe Di Spirito
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