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PHIDEAUX |
313 |
Bloodfish |
2006 |
USA |
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E' difficile non entrare in sintonia con la musica di Phideaux, giunto con questo album alla sua quinta prova in studio. Dopo l'esperienza di "Chupacabras" in cui proponeva una suite di oltre 20 minuti, l'eccentrico artista californiano torna a centrare il suo operato sulle canzoni, che nel complesso formano un grande e coloratissimo (almeno quanto il booklet) revival musicale. In sostanza abbiamo una specie di ritorno a "Ghost Story", con una formula senz'altro più semplice rispetto all'elaborato predecessore. Fra suoni ammiccanti e ritmi a volte ballabili, splendide parti corali con voci femminili, un pianoforte onnipresente e chitarre ruvide, vocoder e sitar elettrico, organo e Minimoog (in poche occasioni), le composizioni oscillano fra uno stile evocativo, che sembra provenire dagli anni '60, ed echi new wave/ dark che ci riportano ai più vicini '80. Phideux, con la sua voce magnetica, assume a volte i connotati di uno stralunato cantastorie: una specie di David Bowie o di un Dylan con più voce. I riferimenti musicali sono fra i più disparati e danno luogo agli accostamenti più bizzarri, passando come se niente fosse dai Jefferson Airplane ai Dead Can Dance, dai Pink Floyd ai Joy Division, da orchestrazioni belle e sensuali ad atmosfere psichedeliche ed acide o a momenti in cui risalta soltanto l'accompagnamento della chitarra acustica. Gli arrangiamenti sono sempre brillanti e la produzione ottimale, nonostante si tratti di una autoproduzione; alcune canzoni, come la meravigliosa "Rail Yard", con splendidi cori, tastiere con registro di archi e piano, sembrano vecchi classici di altri tempi, in altri brani emerge invece una vena più intrigante e divertente, come in "Have You Hugged Your Robot?", strampalata quasi quanto il titolo, con un divertente lavoro al vocoder. In aggiunta a tutto ciò possiamo riferire che il rapporto qualità prezzo è sicuramente vantaggioso: con soli $7 dollari potrete togliervi uno sfizio con questo godibilissimo album, sempre che non temiate gli strani accostamenti.
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Jessica Attene
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