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PUPPET SHOW The tale of Woe ProgRock Records 2007 USA

Dopo una lunga pausa durata quasi un decennio, dovuta a problemi più di natura logistica che artistica, tornano i californiani Puppet Show, autori nel 1998 di un acclamato debutto (“Traumatized”) che garantì loro la presenza a rassegne di rilievo come il Baja Prog e il ProgFest.
La band si presenta come un quintetto classico e altrettanto “classica” è la sua ispirazione, palesata a chiare lettere già dall’apprezzabile brano di apertura “Seasons”: Genesis, Gentle Giant ed una spolverata di hard-rock tanto per gradire, quest’ultimo ingrediente presente soprattutto nell’interpretazione vocale di Sean Frazier e nella graffiante chitarra di Chris Ogburn. A volte si varca l’immaginaria soglia che divide il prog classico dal cosiddetto new-prog - o “neo” che dir si voglia! - e si notano vaghe similitudini con gli ultimi album degli Arena (cfr. la conclusiva “On second thought”), inclusa la carenza di fantasia presente in tali solchi.
La produzione è di qualità superiore alla media, potendo vantare i servigi del celebre Terry Brown (in passato collaboratore di Rush, Fates Warning, IQ, Klaatu ed un’infinità di altri nomi) in fase di mixaggio; altrettanto valida è la scelta degli arnesi del mestiere: pastosi sintetizzatori analogici, organo Hammond, piano, una chitarra versatile ed un basso Rickenbacker di notevole presenza. Per quanto riguarda invece i contenuti, non ci sentiamo di gridare al miracolo: tre dei brani possono vantare una durata maggiore di 10 minuti con tutto ciò che ne consegue: cambi di tempo e di mood, giochini di destrezza degni di un gigante gentile irrobustito e teatralità gabrieliana, come nella sezione centrale di “Seven gentle spirits” ma nulla che non sia già stato proposto da band dagli intenti analoghi come Magic Pie, Spock’s Beard, Little Atlas ed altre entità contemporanee.
Per carità, l’ascolto di questo “Modern Progressive Rock” - come battezzato nel loro sito web - è piacevole e a volte anche qualcosa di più, ma mai un momento di stupore o una trovata imprevedibile che possa scrollarci di dosso l’impressione di conoscere già tutto. Quando la band tenta la carta sperimentale (“God’s angry man”, durante la cui registrazione uno dei musicisti riceve un SMS… ascoltate e capirete!) i risultati non convincono affatto.
Forse ciò che è davvero carente è il coinvolgimento emotivo: lì dove una soluzione dovrebbe mettere la pelle d’oca, come l’arpeggio genesisiano 12-corde/piano in “The past has just begun” la sensazione che ne deriviamo e quella del prog-by-numbers, stilisticamente perfetto ma dal sapore artificioso, qualcosa che sta ai Genesis come una bustina di aroma per pasticceri sta ad una fragola appena colta.
Non voglio essere troppo cattivo, in fondo la band conosce alla perfezione la ricetta per sfornare un impeccabile prog sinfonico di classe (tipicamente statunitense) e la scelta delle timbriche di Mike Grimes denota notevole buon gusto; in altre parole i Puppet Show ce l’hanno messa tutta per accontentarci: tastiere vintage (inclusi campionamenti di Mellotron), lunghe durate, ironia e immaginario favolistico…. semplicemente accade che pur applicando una ricetta ben sperimentata, non tutti i dischi riescono “col buco”.

 

Mauro Ranchicchio

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