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PROTOS |
The noble pauper's grave |
autoprod. |
2007 |
UK |
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C'era una volta il PROTOS, l'album inglese che tutti i collezionisti cercavano, disposti a fare follie per un pezzo di musica che nemmeno sapevano come realmente fosse e che comunque veniva etichettato cone new Prog, genere non amatissimo da chi stava dietro a discorsi che avevano in psych… fuzz… roaring… le proprie parole chiave quando si andava a descrivere l'ennesima mega-rarità. Alla resa dei conti, dopo che questo è stato ristampato, molti si sono potuti rendere conto come quest'album fosse gradevole, ma niente di più… e nessuno tutto sommato si è stupito di ciò. Nel frattempo il tastierista dei Protos ha pensato bene, dopo aver provveduto a ristampare l'album e aver dato alla luce anche un lavoro solista, di riformare il duo che diede origine alla band e di rispolverare il nome che ha significato la maledizione di tanti collezionisti sparsi per il mondo. Rory Rifley-Duff e Stephen Anscombe si sono dunque ritrovati, loro due da soli, anche se con l'appoggio morale degli altri due ex membri, a comporre un nuovo album, includendo anche un paio di brani risalenti al primo periodo della band. Si potrebbe pensare ad un'operazione furbesca e acchiappacitrulli, sfruttando un nome che, bene o male, era circolato negli ambienti Prog.
"The Noble Pauper's Grave" invece, ve lo dico subito, è un gran bel disco! Sicuramente imparentato musicalmente col suo predecessore, esso però presenta un Prog fresco e godibile, quasi completamente strumentale, con melodie ariose e deliziose, con sonorità che del new Prog tipico inglese sono solo imparentate. Solo tastiere e chitarre, in teoria, per questo disco, con un ruolo preponderante giocato dalle tastiere di Rory; l'impasto sonoro tuttavia è tutt'altro che povero né soffre dell'inconveniente opposto, ovvero di un suono troppo bombastico che spesso caratterizza gli album tastieristici. Oltre a ciò occorre dire che la batteria programmata sinceramente riesce a non disturbare per niente chi, come il sottoscritto, fa quasi a prescindere della sua presenza un fattore di detrimento di un album. I riferimenti musicali al primo album ci sono, si sente che questo è figlio di quell'esperienza, tuttavia una registrazione decisamente più professionale e una maturazione evidente fanno sì che questa seconda prova risulti assolutamente più interessante, dal punto di vista artistico e anche da quello del gradimento a pelle che deriva dall'ascolto. Tredici i titoli di questo CD, per un totale di 51 minuti, che si presenta come un concept album che narra, come spiegato brevemente nelle note, la storia di un nobile uomo che rifiuta la propria condizione privilegiata per dedicare la sua vita a beneficio dei più sfortunati. La narrazione è affidata in larga parte alle linee musicali, ma sono presenti dei brevi tratti recitati che si inseriscono nelle pause del tutt'unico che questo disco costituisce, con i brani legati l'un l'altro, come nella più classica delle strutture del concept album di stampo Prog. Quanto a riferimenti viene da pensare a Camel, Abel Ganz… ma certe progressioni tastieristiche e alcuni spunti quasi classicheggianti ci fanno venire alla mente il Wakeman dei bei tempi, sia per i suoi lavori con gli Yes che quelli solistici. Altrove, ovviamente nelle fasi più d'atmosfera, si può quasi pensare agli Enid… un accostamento tutto sommato non troppo bizzarro. Insomma… si tratta di un album più che gradevole, con un appeal innegabile che farà la felicità di molti proggers.
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Alberto Nucci
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