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ANTONIO PIRAS TRIO |
Lembrei de Você |
Comar 23 |
2007 |
ITA |
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Ogni tanto la redazione decide di accettare una proposta di recensione atipica rispetto alle solite trame trattate. Questo lavoro, fatica ultima del chitarrista sardo Antonio Piras, si discosta in maniera piuttosto netta dal prog usuale che si recensisce in queste pagine. Ma poi, cosa significa prog usuale? Quindi prendiamoci questo disco e vediamo di che si tratta.
Innanzitutto il trio in questione è una formazione Jazz, per l’occasione diventata quartetto con l’aggiunta del trombettista newyorchese Andy Gravish, elemento ospite al quale viene lasciato ampio spazio in tutta la registrazione.
Il disco è una sorta di lavoro di gruppo con grande spazio all’improvvisazione e partenza da semplici canovacci tracciati da Piras e dalla sua chitarra. Strumentisti d’eccezione, preparati e aperti che però rimangono entro i chiari confini del genere trattato, proponendo arrangiamenti mai ostici e linearmente prevedibili. Insomma non siamo all’ascolto di un disco di jazz progressivo o teso ad una creatività particolare, semplicemente parliamo di un disco di jazz italiano che ha nella liricità e semplicità delle trame il suo punto peculiare. E’ senz’altro un piacere ascoltare la chitarra di Piras che mi ricorda certi momenti di John McLaughlin o di Phil Miller, ma invito i lettori a non fraintendere questi accoppiamenti anche perchè non credo che lo spirito dei citati sia stato nelle mire dell’autore ma, casomai, potremmo trovare qualcosa in comune a tutti quanti, semplicemente rovistando del jazz d’autore degli ultimi 50 anni. Meno adatto all’orecchio del sottoscritto è il lavoro di Gravish, sicuramente di alta qualità tecnica ed esecutiva, ma sinceramente troppo orecchiabile e lineare per chi si sia abituato a cose prodotte dai grandi fiatisti negli anni ’70, come Charing, Surman o Dean e avverte queste cose come troppo “semplicistiche”. Dal punto di vista ritmico il disco non nasconde nulla, tutto è molto esplicito e spesso ci troviamo ad ascoltare brani che potrebbero passare nel dancing di James Bond: Bossa Nova, ritmi Sudamericani, tutto tendente al ballabile, senza craniosità o spigoli vivi o arguzie particolarmente strane. La figura geometrica che meglio si addice a questo disco è il cerchio: tutto tende a rotolare bene, a rientrare al punto di partenza senza scossoni e senza sorprese.
Lavoro tutto sommato buono, ma assai lontano dal prog e da ciò che, anche marginalmente, attribuiamo al prog. Il consiglio di acquisto è destinato solo agli amanti del genere.
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Roberto Vanali
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