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I PENNELLI DI VERMEER La primavera dei sordi La Canzonetta 2008 ITA

Lasciamo da parte inutili se non addirittura dannose etichette (“rock pittorico”? Ma che vuol dire?) e concentriamoci su quanto propongono questi Pennelli di Vermeer, in forte ascesa con una proposta particolare che merita le nostre attenzioni. Nel nuovo album “La primavera dei sordi”, la band napoletana si presenta con dieci brani di incredibile spessore, con i quali sembra voler recuperare quello spirito visionario, artistico, sorprendente e stravagante che il rock di oggi sembra aver perso nello stato di generale appiattimento in cui versa. Si tratta di canzoni di durata contenuta, orecchiabili, ma costruite in maniera acutissima, con architetture strumentali molto particolari, ritmi variabili, teatralità, testi pungenti e tante diavolerie. A partire dai primi secondi di “Tre cadaveri nel cassetto”, sorta di filastrocca “cattiva” e ironica, capiamo subito che siamo di fronte ad un qualcosa di molto particolare, con un folk-rock vibrante, apparentemente scanzonato, in cui la chitarra elettrica può condividere la scena con organetto, marranzana, castagnette e tromba, mentre Pasquale Sorrentino ci racconta beffardamente inquiete stravaganze (“Tre cadaveri nel cassetto/ce li ho messi da bambino/quando facevo il tifo per l’orco/ed odiavo Pollicino”). Ogni brano ha la sua storia, sia musicale che come tematiche e tra le più interessanti potremmo segnalare il rock trascinante de “L’urlo” (impreziosito dall’ugola di Lino Varietti), la delicata “Cinque minuti in una notte” e la convulsa “S.K.L. ero”. Ma i Pennelli di Vermeer non lasciano mai tregua: persino i ritmi e l’andamento da vecchia tecnodance di “Incuboinuncubo” si fanno apprezzare e persino un’oasi di romanticismo come “I giardini di Belzebù”, con tanto di tastiere ariose, violoncello e melodie di classe nasconde insidie inaspettate e coinvolgenti. E quando si riascolta l’album per la seconda volta, siamo sorpresi nel renderci conto che le loro canzoni le riconosciamo immediatamente, che i leit-motiv che hanno trovato sono rimasti impressi piacevolmente nella testa e questa è una dote più unica che rara! Inutile fare paragoni: se a volte si può pensare alla verve istrionica di Elio e le Storie Tese, se in alcuni momenti si riconoscono tentativi già fatti in passato di unire rock e tradizione meridionale, se in generale si può avvertire un rinvio a certo cantautorato di classe, possiamo tranquillamente affermare che i Pennelli di Vermeer sono un’entità nuova e originale, spigliati ed estrosi nel coinvolgerci nel loro eccentrico linguaggio musicale. Prog? E’ vero, non l’ho nominato. Ce n’è… è avvertibile… sia per certe tessiture sonore, sia per il senso originario del termine, per quella voglia di guardare avanti, di superare i soliti clichè… Ma, come dicevo all’inizio, lasciamo da parte le etichette…

 

Peppe Di Spirito

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