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ANATOLY PERESLEGIN |
pASSION mODELS (Synth fantasies for the symphonic orchestra) |
Electroshock Records |
2004 |
Rus |
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Il terzo album di Anatoly Pereslegin è ancora una volta ispirato a tematiche religiose. Questa volta i temi affrontati riguardano i vangeli, i quattro canonici di Matteo, Marco, Luca e Giovanni più quello apocrifo di Tommaso e ad ognuno di essi è dedicata una coppia di composizioni, tranne che a Matteo, al quale si ispira la sola traccia di apertura. L’album precedente del compositore israelo-russo era un’inquietante visione gotica in bianco e nero che ispirava sensazioni contrastanti e forti; in questo nuovo lavoro l’artista esplora nuovi colori musicali, ampliando il pannello dei suoni che sono di natura orchestrale, anche se sintetica. I synth di Pereslegin ricalcano quelli di un’intera orchestra sinfonica mentre la componente acustica è rappresentata da i sample di un violoncello reale, quello di Alexander Zagorinsky, che aveva già collaborato nel precedente album. Il nuovo lavoro ci offre sensazioni meno definite ma ugualmente inquietanti ed i suoni orchestrali sono come frantumati in una miriade di componenti che si intersecano in maniera caotica e in cui è difficile trovare un ordine. La melodia è presente ma è polverizzata in numerosi frammenti, come un asteroide che si annienta a contatto con l’atmosfera terrestre. Di tanto in tanto possiamo seguire le evoluzioni della musica, ma la lotta fra le varie sonorità si svolge su più piani sovrapposti e disconnessi. L’ascolto è per questo molto avventuroso ma anche interessante e allo stesso tempo coinvolgente e stressante. Sentiamo che in qualche maniera la musica ci attira ma questa sembra quasi che in qualsiasi modo si voglia divincolare da noi. Forse perché la nostra anima ricerca delle affinità e sembra quasi trovarle nei frammenti di musica cameristica ma la denaturazione estrema di questa musica, la sua spietata artificiosità, crea delle sensazioni di ascolto molto contraddittorie: è come mettere Bartok in un frullatore e poi godere sadicamente nell’ascoltare il risultato della barbara esecuzione della sua musica. Non immaginate comunque qualcosa di rumoroso o di estremamente sconclusionato, l’apparente disordine nasconde un senso sfuggevole e inquietante ed il risultato finale somiglia ad una produzione di RIO elettronico suonato da un’orchestra di musicisti fantasma. La musica elettronica in questo ambito non è utilizzata per esplorare nuove gamme sonore ma ad imitazione della musica acustica che viene riletta secondo ottiche stravolte. In particolare questo album potrebbe rappresentare un ascolto stimolante per gli amanti delle forme di avanguardia cameristica oltre che agli appassionati di musica elettroacustica che hanno dimestichezza con certi astrattismi musicali estremi.
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Jessica Attene
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