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PANE |
Orsa maggiore |
Controfase/Dischi dell’Orsa |
2011 |
ITA |
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Ho conosciuto questa band solo ora ed è stato un piacere. Vero che sono in ritardo io, considerato che a dispetto del loro ventennale percorso musicale, questa è la loro terza uscita.
La proposta di Pane è molto particolare e personale, sicuramente possiamo definirla di ricerca, fatta di elaborazioni spesso apparentemente lineari, ma sempre ben studiate, eleganti ed equilibrate. Le tavolozze dalle quali la band sceglie le proprie tinte sono assolutamente variabili per stile e cronologia: è un excursus che attraversa l’ultimo secolo di musica, riempiendo le tracce sonore di teatralità, rock, progressive, folk, jazz e cantautorato, con riferimenti a tutta l’area mediterranea, ma con piglio particolare sui caldi temi del sud e, perché no, di certi autori francesi. Il corpo musicale del lavoro è interamente acustico, esercizio assolutamente apprezzabile in un momento in cui sembra che il mondo si voglia orientare verso una sinteticità di suoni che consentano una fruibilità più immediata. Qui invece è tutto più riflessivo e l’accessibilità alle trame è garantita non da suoni o fattezze trend, ma dalle reali capacità dei musicisti, dal loro modo di dialogare con l’ascoltatore, ponendosi su piani dove domina l’espressività. Maurizio Polsinelli suona il piano e lo fa con un gusto eccelso, il suo tocco fa sì che tutto sia ben amalgamato e arrivi al punto giusto. Vito Andrea Arcomano è l’uomo della chitarra acustica, il suo ruolo è fondamentale e non certo di riempitivo ritmico, viste le peculiarità del lavoro. Claudio Madaudo è un flautista, la sua impostazione, il suo stile, la sua precisione fanno sì che non ci sia una sola nota di troppo e che il suo lavoro venga avvertito come “giusto”. Alla batteria Ivan Macera che regolarizza tutto con classe ed eleganza. Infine Claudio Orlandi, la voce della band, calda, forte, penetrante, quelle voci che fanno la differenza, sapendo viaggiare tra temi e forme nella maniera più consona e colorando di grande espressività anche i passaggi melodici più contorti e ricchi, come quelli mestamente nudi. Queste premesse portano subito a ipotizzare che ogni brano possa essere un’opera perfettamente riuscita, ma è solo dall’ascolto attento che saltano fuori tutte le variegate qualità delle tracce, sempre in perfetto equilibrio tra musica e poesia.
Già il brano di apertura “L’umore” ci fa entrare nel mondo lirico e teatrale dell’idea musicale dei Pane, fatta da testi coinvolgenti e progressioni sonore, alti e bassi in continua alternanza, sorretti da ritmicità mai scontate. E sono proprio i testi a dare un’impronta elevata a tutto il lavoro, scritti dallo stesso Orlandi, che utilizza anche il metro della riscrittura di testi “classici”, prendendo spunti da Vladimir Majakovskij nella title track “Orsa Maggiore”, da Gesualdo Bufalino nella straniante “Samaria” e da Victor Cavallo per la colta “Cavallo”. Questo modo di lavorare crea un tutt’uno trascinante con ampi spazi per strali filosofici, abbozzi metafisici e dadaisti, citazioni storiche, narrazioni oniriche e psichedeliche. La musica è altrettanto varia e non pochi sono i riferimenti positivi che si possono trarre dall’ascolto, lasciando comunque intatto e unico lo stile che permea con grande personalità il lavoro. Nell’ascolto si avvertono attimi di bilico dada-psichedelico con rimandi ai primissimi Pink Floyd e Soft Machine, al successivo Wyatt cantautorale, Area, Banco, Carnascialia, Gaber, De Andrè … molto ritorna a tutto ciò che è stata la musica del Novecento intero, fatto di seria ricerca, di teatro, di espressione vibrante. Dovendo raccogliere il tutto in una sola parola ne salta fuori una di quelle che, pur cercando e rovistando, non possiede veri sinonimi e la si deve usare, per questo, con parco riserbo, arte. Sì, lunga vita a questa band e che ci possa dare ancora tanto.
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Roberto Vanali
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