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PORCELAIN MOON |
...as it were. Here and there |
Musea Parallèle |
2012 |
FIN |
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Hard-prog, incisivi, caldi, coinvolgenti, musicalmente colti, comunque indipendenti dai propri riferimenti (che non sono poi così noti a tutti) e proiettati verso la chiara interpretazione di un certo tipo di psichedelia. Tutto ciò fa parte del debutto di questa band della west-coast, che avrebbe meritato di esordire col botto ed invece lo ha dovuto fare in sordina. Gli elementi sopra riportati sembrerebbero qualcosa di ordinario – soprattutto la componente psichedelica – vista la provenienza geografica? Mica tanto, visto che i sette musicisti, in realtà, provengono della west-coast… finlandese! Una peculiarità geografica che come si vedrà in seguito ha contribuito non poco a connotare un sound che forse si discosta dalle altre uscite prog finniche degli ultimi anni (comunque, quasi sempre di alto livello). Esordienti nel 2009 semplicemente a nome Porcelain con una pubblicazione autoprodotta, l’introvabile lavoro viene ristampato due anni dopo dalla Musea Parallèle, una succursale della celeberrima prog label francese Musea, nota per il valore internazionale della propria produzione discografica. Il nome del settetto, al momento della ristampa, diviene quello attuale. Riferimenti tutt’altro che scontati, si diceva in apertura. Vengono in mente compagini prog-rock psichedeliche per lo più europee, che si distinguevano, oltre per l’originalità delle partiture, anche per la presenza di vocalist donne capaci di fare la differenza, sia (soprattutto) per la splendida impostazione vocale che per la capacità di tenere il palco. La rossa Charlotta Kerbs sembra guardare proprio a queste belle realtà, non sfigurando affatto negli eventuali confronti e non apparendo mai “vuota” come alcune sue molto più celebrate colleghe. Insomma, i Porcelain Moon hanno nerbo, mettono sostanza in quello che fanno ed in tutto ciò la Kerbs sembra esserci perfettamente inserita. Si potrebbero quindi citare i francesi Sandrose, gli inglesi Julian’s Treatment, i Goliath (quelli britannici, da non confondere con gli americani omonimi decisamente più hardeggianti e con cantante maschile), ma volendo anche i nostrani Circus 2000. Più defilati nei paragoni, i belgi Mad Curry e brillanti gruppi americani come gli Affinity o i Fusion Orchestra. L’iniziale “Lost in haze” parte subito sparata, probabilmente perché consapevoli che un attacco incisivo costituisce un eccellente biglietto da visita. Così, andando vicini ad una vena dark di compagini contemporanee come i Mostly Autumn o addirittura i Presence di Sofia Baccini, si possono ascoltare gli assoli distorti di Mathias Björk, ottimamente doppiato nelle parti acustiche da Niklas Harju, le possenti linee di basso anch’esse distorte ad opera di Markus Kankkonen e l’organo infuocato di Tony Niström, passando per partiture folk che ricordano un po’ i Circulus. Dopo gli excursus vocali di “Parts”, brano evocativo di lande fredde, solitarie e ventose, “Caught in a dream” è un evidente tributo ai tardi Jerfferson Aiplane, con una Charlotta in chiara versione Grace Slick su dei celestiali e lisergici effluvi disegnati in secondo piano dal pianoforte e dalle combinazioni elettro-acustiche delle chitarre, prima che si affondi nelle colate laviche di synth. A seguire, ancora affascinanti riferimenti alla Slick nell’apertura di “Rainbow”, per poi passare ad un’interpretazione simile a quelle più ispirate della nostra Elisa e lasciare spazio agli strumenti per un finale di folk psichedelico, dove i suoi vocalizzi da brivido, col violino epico di Pia Susanne Kurtén, danno la sensazione di essere sullo strapiombo di una scogliera nel Mar del Nord. Tra l’altro, chi nelle timbriche strumentali ci ha visto delle similitudini con i Blind Melon, che apparentemente non c’entrano nulla, non ci è andato lontano nemmeno più di tanto, come dimostra “Someone and love” con i suoi accordi aperti che ricorda le cose più allegre e visionarie della band del defunto Shannon Hoon. Ma attenzione agli intermezzi: sfoghi di rabbia uterina allo stato puro! Suggestivo anche l’assolo finale, da gustarsi come un bicchiere di rosolio fatto in casa. Otto minuti complessivi che confluiscono poi nella quasi ossianica “Markens grøde”, che a sua volta si immette sugli altri otto minuti della finale “Vinden”, debitrice di altre vecchie realtà come i primi Lucifer’s Friend e, come da titolo, cantata in svedese. No, nessun errore… Il gruppo proveniente da Kokkola, infatti, appartiene ad una minoranza finlandese di lingua svedese e questo in buona parte spiega la particolarità della proposta, figlia, cioè, di una peculiare miscela culturale. Ancora un’ottima coda strumentale, in cui il drumming non troppo complesso di Tom Simell si dimostra una buona base per le evoluzioni seducenti degli altri strumentisti. Oltre, chiaramente, a consigliare senza alcuna remora quest’album a tutti coloro che apprezzano i numerosi riferimenti di cui sopra, si fa presente che i Porcelain Moon stanno per immettere sul mercato il loro secondo lavoro. È possibile ascoltarlo a spezzoni collegandosi sul loro sito. Da quanto si è riusciti a cogliere, sembrerebbe qualcosa di abbastanza complesso. Staremo a vedere. Dopo un bel lavoro come questo, non si può non attendere con piacere e curiosità una loro nuova prova.
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Michele Merenda
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