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PSYCHOPRAXIS |
Echoes from the deep |
Black Widow |
2012 |
ITA |
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E’ sempre bello quando hai tra le mani un debutto discografico di un gruppo italiano, ancora più bello quando questo esordio è fatto da cinque ragazzi (provenienti dalla zona del bresciano) che propongono un lavoro che trasuda amore per il rock progressive da tutti i pori. Merito anche dell’etichetta genovese Black Widow che propone, anche per un gruppo al debutto, la versione in CD e LP (come tradizione di questa etichetta) con copertina apribile, aspetto che sarà apprezzatissimo dagli appassionati. Non è infatti semplice, soprattutto in Italia, trovare un gruppo che suoni “vintage” (anche nella strumentazione) prendendo spunto dai maestri del genere degli anni Settanta e che non peschi nelle solite cover di gruppi blasonati. Ammetto che ho avuto difficoltà nell’approccio con questo disco, dovuto più che altro alle linee vocali imprecise. Superato il primo impatto, però, si riescono ad apprezzare le peculiarità di questo lavoro grezzo e potente al punto giusto che, pur avendo le influenze più importanti in primi Floyd, PFM, Jethro Tull, Soft Machine e il sottobosco progrock italiano anni ‘70, riesce a mostrare le proprie caratteristiche singolari, soprattutto in un panorama italiano rock progressive che difficilmente oggi propone determinate sonorità. E’ nei brani e nei passaggi strumentali che gli Psychopraxis hanno i loro punti di forza. L’ottimo lavoro di Andrea Calzoni al flauto (che si fa perdonare la non convincente prova vocale), i tappeti di organo Farfisa (non Hammond) di Paolo Tognazzi e la chitarra dall’effetto retrò di Paolo Vacchelli (ottima prestazione in “Hoodlums”) sono gli elementi base che fusi insieme permettono di fare un salto indietro nel tempo di oltre quarant’anni. Brani potenti e cupi come “Privileged Station”, “Awareness “ e “Noon“ sono vere chicche dal punto di vista strumentale, dove echi canterburiani si mischiano alla tradizione rock progressive italiana e alla psichedelia. Anche brani per il sottoscritto meno riusciti come, la mini suite di nove minuti “Black Crow”, con molti cambi di atmosfera musicale messi però non a fuoco nella giusta maniera, fanno vedere in prospettiva un gruppo che può solo migliorare, anche lavorando sui propri errori, e che ha idee da vendere. Le basi per emergere dall’enorme calderone delle band emergenti del rock progressive italiane ci sono tutte. C’è ovviamente ancora parecchio da lavorare per mettere a punto gli aspetti meno convincenti di tutto il progetto Psychopraxis, ma siamo agli inizi della loro avventura. Aspettando il prossimo lavoro, diamo tempo a questo “Echoes from the deep” di crescere, ascolto dopo ascolto, nei nostri impianti stereo.
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Antonio Piacentini
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