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PHOENIX AGAIN ThreeFour autoprod. 2011 ITA

Ascoltando dischi del genere viene quasi da chiedersi se non bisogna andare a rivedere e riscrivere meglio la storia degli anni ’80, da sempre considerati il periodo buio per il prog. La storia dei bresciani Phoenix, infatti, nasce all’inizio di quel decennio, dalle ceneri del Gruppo Studio Alternativo. La band compone e suona dal vivo, ma non riesce ad emergere e solo nel 1991 riesce a pubblicare un album su nastro intitolato “Alchimie”. Poi il silenzio e nel 2007 la morte del fondatore Claudio Lorandi. L’anno successivo, gli altri componenti della formazione, Sergio Lorandi (chitarre, flauto), Antonio Lorandi (basso, percussioni) e Silvano Silva (batteria, percussioni, tastiere) decidono di riprendere in mano composizioni che risalgono a più di 25 anni prima, sfruttando la tecnologia moderna e partendo da vecchie registrazioni di chitarre che erano state incise dal defunto Claudio. Nasce così questo disco, con il nome corretto in Phoenix Again, con ogni composizione che viene accompagnata da un dipinto, sempre opera di Claudio. Non esitiamo a dire che si tratta di un lavoro molto bello ed interessante, che ci fa capire come i Phoenix Again siano stati uno dei tanti gruppi che ingiustamente ha subito quelle difficoltà del periodo, con il prog relegato in un angolino nell’indifferenza quasi totale di discografici e critica musicale. Ma, come accennavamo all’inizio, il cd “ThreeFour” è solo una delle varie riprove che a dispetto di questo disinteresse generale c’erano comunque tanti appassionati che erano ancora affascinati da sonorità in voga nei seventies e ben distanti da commerciabilità e ballabilità.
L’inizio è molto delicato, con gli arpeggi acustici che introducono “Agli amici scomparsi”, brano malinconico (anche quando poi entra la chitarra elettrica e la batteria detta ritmi cadenzati), impreziosito dal violoncello e che rievoca atmosfere di cui è un maestro Anthony Phillips. Solo nel finale il sound si fa più robusto, grazie ad un bel riff potente ed un breve intermezzo quasi hard rock, che precede il finale nuovamente raffinato. Un bel biglietto da visita, non c’è che dire. Ma anche gli altri pezzi sono ben costruiti e regalano belle emozioni. Per la maggior parte si tratta di composizioni che puntano su sonorità prog abbastanza classiche, di estrazione romantico-sinfonica, a cavallo tra temi classicheggianti e il new-prog britannico che andava ad affermarsi all’inizio degli anni ‘80. Tra vari cambi di tempo, con belle dinamiche che permettono l’alternanza di passaggi spediti a momenti più riflessivi, si susseguono dodici tracce interamente strumentali, nelle quali si possono intravedere le influenze di Camel, Genesis, Pink Floyd, King Crimson, PFM. Quasi sempre si incentra il tutto sulle chitarre, spesso piacevolmente gilmouriane e solo di rado più dure, ma gli inserimenti degli altri strumenti riescono a dare ai brani quella brillantezza in più e delineano anche lievi elementi folk nei momenti acustici. Qualche spruzzata vagamente funky in “Eppur si muore” e “Autumn”, divagazioni dal sapore jazz-rock qua e là e la forte sperimentazione di “Aquarius time”, tra rumoristica, ambient e noise (forse il momento meno riuscito del disco, visto che si tratta di un brano che sembra completamente fuori contesto), sono le eccezioni all’orientamento appena descritto.
Inevitabile concludere con un bel “Bravi!” ai Phoenix Again, che oltre ad avere creato bella musica hanno il merito di aver fatto rinascere un repertorio di buonissima qualità e di farlo arrivare a noi. L’unico appunto che si può fare è che settantadue minuti per un album interamente strumentale restano un po’ troppi per essere seguiti interamente e senza distrazioni. Ad ogni modo, sarebbe stato davvero un peccato se la musica contenuta in “ThreeFour” fosse rimasta ancora accantonata e adesso è tanta la curiosità di sentire la band alle prese con nuovo materiale.



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Peppe Di Spirito

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