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A PRESENÇA DAS FORMIGAS Pé de vento Careto 2014 POR

Quando tornerò in Portogallo, e state certi che ci tornerò, non mancherò di infilare in valigia questo album per farne una meravigliosa colonna sonora. Mentre le note scorrevano via mi sono tornate in mente catene di immagini, luci e suoni di quella terra, grazie alla musica che fluisce e serpeggia sul filo della tradizione popolare e ai suoi tantissimi colori, brillanti e caldi, in grado di riaccendere ricordi e innescare la miccia magica della nostalgia. Il tema del viaggio è radicato profondamente in quest’opera, come mostra il bel disegno della copertina di Danylo Gertsev (lo stesso artista di “Ciclorama”, l’esordio del 2011). Un viaggiatore all’inizio del suo viaggio, col vento fra i capelli e un fiume, con le sue scarpate, che taglia il paesaggio. Chissà se si tratta proprio del Douro che, superato un confine invisibile, diventa Duero, lo stesso insomma dove Saramago, all’inizio del suo famoso “Viaggio in Portogallo”, si mise a parlare coi pesci che rapidamente passavano da una parte all’altra? Proprio allora un venticello improvviso, quasi fosse un segno di complicità con lo scrittore, ne increspò le acque. Anche se, in realtà, l’espressione Pè de vento, che indica non solo una folata di vento ma anche una persona che proprio non riesce a stare nello stesso posto o anche l’impulso che ti spinge a fare qualcosa, riecheggiò nelle orecchie di Manuel Maio (violino, bandolim e voce) mentre canticchiava un motivo del celebre cantautore lusitano Fausto, artista verso il quale questo disco è parzialmente debitore.
E di arie affabili e cantabili qui ce ne sono a bizzeffe e prendono forma grazie alla bellissima voce di Sara Vidal, giunta in pianta stabile a rimpiazzare quella altrettanto bella di Teresa Campos (comunque presente come ospite in un paio di tracce). Rispetto a quest’ultima Sara appare forse meno audace ma anche più carismatica, precisa e intensa, struggente fino alle lacrime quando intona melodie romantiche, come quelle di “Dá-me o Amanhӓ”, brano che rievoca la poesia e la passione del fado, abile nel seguire linee melodiche non lineari con grazia, scivolando con dolcezza lungo i pendii della musica, esempio ne è la bella “O Pulo do Lobo”, cantata in coppia con Manuel Maio, con melodie e ritmi che variano al variare della voce solista in un complesso dialogo.
Il cambio della voce solista non è l’unica novità nella band che nel 2013 ha subito un lieve riassetto d’organico con l’ingresso di Rui Lúcio alla batteria al posto di Luis Arrigo (anch’egli ospite al glockenspiel e al vibrafono) e di Nuno Silva alla fisarmonica mentre rimangono al loro posto, oltre al già citato Manuel, André Cardoso con le sue chitarre, inclusa quella portoghese, e Miguel Cardoso al basso e contrabbasso. C’è poi, come per il precedente album, tutta una serie di ospiti ad arricchire un sound lieve nello spirito ma ricco di particolari, fra i quali citiamo il cantante João Afonso, nipote del celebre José, che in “Assim Como Quem Nӓo Quer” intesse assieme a Teresa Campos una sorta di fragile valzer fatto di minuti intrecci vocali, con il prezioso accompagnamento della viola braguesa suonata da Hélder Costa.
Il pianista jazz João Paulo Esteves da Silva si esibisce invece nell’incantevole strumentale “Planície”, brano che offre deliziose aperture jazz e sinfoniche che mi hanno fatto pensare agli argentini La Máquina Cinemática. Il cantautore spagnolo Luis Pastors interpreta assieme a Sara “Que serei?”, cantautoriale ma dagli arrangiamenti onirici con un bell’effetto dato dal ripetersi dei versi negli idiomi natii delle due voci soliste. Il multi strumentista Rui Ferreira (cavaquinho, basso fretless, percussioni e tastiere) dei connazionali Dark Wings Syndrome offre invece il suo contributo nella maggio parte dei brani.
Tutti questi elementi vanno sicuramente a beneficio degli arrangiamenti, piacevolmente elaborati e a volte attraversati da una stuzzicante brezza sinfonica e cameristica, anche se bisogna dire che nel complesso l’opera appare molto equilibrata e tutti gli strumenti entrano negli intrecci musicali rinunciando a qualsiasi velleità di protagonismo, senza prevalere gli uni sugli altri, ma integrandosi fra di loro nell’ambito di paesaggi sonori sognanti e dai molteplici colori timbrici. Lo stesso vale per i singoli brani, dodici in tutto e tutti abbastanza brevi, che si succedono gli uni agli altri con grande armonia. A differenza del suo predecessore, questo album possiede poi delle atmosfere più solari, gioiose e rilassanti ed è punto solo lievemente da un tocco di languida malinconia. L’incipit “Aì Que Ricas Orelhinhas” è allegro ed irretisce subito l’ascoltatore con le sue fragranze mediterranee, le trame acustiche ed i ritmi di danza. Gli arrangiamenti lasciano trasparire in controluce squisite trame sinfoniche, la musica vivace è come pervasa da un alito di vento frizzante ed i tamburi sembrano quelli di una festa popolare. L’entusiasmo pare proprio quello di chi sta per mettersi in viaggio. Ma non sempre si viaggia per piacere e forse la splendida “Orla dos Malditos” è stata messa lì proprio per ricordarcelo, accennando alla tragedia degli sbarchi dei migranti, come quelli di Lampedusa, con tanto di voce in italiano sul finale a ricordarne le tristi cronache. Il brano riluce per i suoi accenti quasi cameristici stemperati da atmosfere soavi, disegni melodici morbidi ed eleganti ed aperture sinfoniche leggiadre con la voce di Sara che sussurra ed accarezza. Fra gli altri brani mi piace infine ricordare “Senhora do almortӓo”, suggestiva rielaborazione di un brano popolare, col suo melange irresistibile di suoni antichi e moderni che offrono colorazioni davvero particolari, col vibrafono, la fisarmonica e le trame pianistiche penetranti. Qui il cantato (e rientra in scena Teresa Campos) assume toni più melodrammatici e la musica ha una flessuosità quasi cameristica con arrangiamenti sofisticati che in parte ricordano il vocabolario di Hermeto Pascoal.
Alla fine di questo viaggio musicale mi rendo conto che la meta che fin dall’inizio appariva lì, ben visibile dall’alto della prima traccia e a portata di mano, in realtà la si raggiunge per una strada sì in discesa ma fatta di tante curve e deviazioni che erano difficili da prevedere. Ci si avventura in questo album a cuor leggero, spinti dalla brezza di melodie accessibili e vivaci, dalla poesia dei versi e dalla bellezza di una lingua che è essa stessa poesia, e gradualmente, poco a poco, se ne rimane sempre più irretiti. Questo album ci conduce in Portogallo con le ali incantate della musica e vi consiglio vivamente di andare, anche senza perdere tempo a preparare i bagagli, infilando questo CD nel lettore ovviamente.


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Jessica Attene

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