|
PLATO’S CAVE |
Servo / Padrone |
Videomap Network |
2015 |
ITA |
|
Proposta musicale amena dalla provincia di Salerno… Cinque musicisti si uniscono nel 2009 e dal 2011 lavorano su quello che sarà il loro debutto. “La Caverna di Platone” prende il nome da uno dei tanti miti che il filosofo ateniese inserì nella “Repubblica” per la spiegazione di cosa sia davvero la conoscenza in sé, pretesto per disquisire sul Mondo delle Idee, sul concetto dell’Idea del Bene che permette a tutte le altre Idee di esistere e quindi poter descrivere metaforicamente lo stato di schiavitù in cui genericamente versa l’umanità, incatenata dentro una caverna a guardare le ombre che si muovono sul fondo di essa. Con la piena convinzione che quella sia la realtà. Uno stato di cose pericoloso, perché gli uomini faranno di tutto per non essere liberati e resi edotti, proprio perché convinti che quella possa essere la sola dimensione reale possibile. I concetti di partenza sono praticamente questi ed il quintetto campano li estrinseca con dei testi in italiano che si rifanno al filosofo che per antonomasia, nel XIX secolo, ha sferzato i costumi e le apparenze sociali: Friedrich Nietzsche. Il titolo dell’album, poi, si rifà chiaramente alla fenomenologia di Hegel e quindi ad un ben preciso metodo dialettico. Magari qualcuno si sforzerà di vederci un atteggiamento di ribellione “destroide” – cosa che a suo tempo fu imputata anche agli illustri colleghi del Museo Rosenbach, autori nel 1973 del seminale “Zarathustra” (sempre per rimanere in tematiche Nietzschiane)–, ma queste eventuali persone dovrebbero anche rendersi conto che tali valutazioni, in questo contesto, non hanno minimamente senso. I temi sono infatti molto ricercati, difficili da comprendere per intero ad un primo ascolto (tipico della filosofia moderno-contemporanea, peraltro), e che oggi come oggi suonano socialmente attuali in una maniera che, razionalmente, non può non essere definita preoccupante. Ma dopo tutto ciò, sorge una domanda: il gruppo nostrano… che musica fa? Già, perché dopo tante discussioni speculative, si è rischiato di tralasciare l’aspetto basilare. Detto che quello delle sovrastrutture appare a questo punto come il vero problema annoso di una lunga epoca, i Plato’s Cave suonano decisamente alternative, se non addirittura indie. Il fatto che si siano sempre dichiarati addentro ed interessati alla musica prog può bastare, in ultima istanza, per poterli definire tali? Se si parla di determinati stereotipi ormai consolidati, la risposta è decisamente negativa. Se invece ci si volesse sforzare di vedere il progressive-rock come un enorme contenitore costantemente “aperto” (nel senso di apertura agli elementi creativi), già qualcosa potrebbe cambiare. Nonostante il batterista Luigi Filmiani si professi legato al drumming storico di John Bonham e persino a quello molto più recente di DaveGrohl (Nirvana), è proprio la sezione ritmica, in tandem col bravo bassista Francesco Carbone, a dare di volta in voltaun andamento non convenzionale al singolo pezzo. E poi, l’attacco di “Il Viandante” (forse la più progressiva del lotto) pare proprio un tributo in versione meno abrasiva di storici pezzi crimsoniani come “21st Century Schizoid Man” o “Pictures of a City”. Buona la presenza del vocalist Alessandro Villano, con una voce essenziale ma anche valida nel cantare pezzi come “L’Uomo Assoluto” o “Wilma”, con i suoi tocchi di mandolino ad opera di Francesco Detta. Quest’ultimo, assieme ad Alessio Carbone, è autore delle partiture di chitarra, che suonano spesso acustiche. Non vi sono molte fasi soliste intese nel senso classico del termine, quindi sono da rimarcare quelle distorte e psichedeliche presenti su “L’Opposizione all’Eccezione”, oltre a porre l’attenzione su un testo che ricorda molto quelli del già citato Museo Rosenbach. “Viaggio Introspettivo” si rifà nell’introduzione ai Pink Floyd di “Meddle”, prima di attaccare a parlare chiaramente di Nietzsche, “sporche chimere” ed un libro giallo che sa “di mistica rivoluzione” che insegna “ad annientare i pregiudizi di una vuota morale”, con le sei corde che riportano nuovamente ai ‘Floyd precedenti a “The Dark Side of the Moon”.Nel finale, da citare anche la dura (nelle note e nei testi) “Canzone per un Prigioniero” e “L’Applauso”, che più va avanti e più diviene inesorabile, citando nel finale persino le parole che condannarono nell’anno 1600 lo storico corregionale Giordano Bruno. Concludendo – sempre a proposito di preconcetti –, definire i salernitani come un gruppo prog sembra tendenzialmente fuorviante. In un ambito che però vuole guardare alla Musica nel suo complesso, i Plato’s Cave potranno sicuramente diventare un valido gruppo “alternativo”, nel vero senso del termine. Del resto, come dicono loro stessi: “Un filosofo, senza mentire, guadagna la sua fetta di Infinito”.
|
Michele Merenda
|