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PHOENIX AGAIN |
Unexplored |
Black Widow Records |
2017 |
ITA |
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Ecco a voi i campioni melodici del 2017. Non solo melodici, ovviamente. Anche sinfonici, derivativi, regressivi, manieristici, poco originali e scontati. Preferisco utilizzare subito gli aggettivi che di solito descrivono dischi come “Unexplored", così posso metterli da parte e cercare di parlare della musica. I Phoenix Again sono italiani, fanno progressive rock sinfonico e sono distribuiti da Black Widow, che sovente predilige band con un sound ben definito, spesso dark o malsano, o debitore di un rock pesante e fumoso, oltre che decisamente vintage. Bene, tutto questo è presente in “Unexplored", in maniera non troppo evidente e stemperata dalla melodia progressiva espressa dai geni dominanti dei musicisti. Prendiamo ad esempio il primo brano: è palese come le note di archi di “That day will come" ricordino l'intro di “Watcher of the skies", a contrasto con il seguito che si evolve su una struttura irrequieta spezzata da momenti liberatori, centellinati per creare all'ascolto un senso di attesa. Mi piace come gli strumenti sembrino rincorrersi, chiamarsi e crearsi a vicenda degli scivoli o dei trampolini musicali, in uno stile che caratterizza efficacemente anche tutto il resto l'album. Il disco è in prevalenza strumentale, gli unici brani cantati sono "That day will come" e "To be afraid". La voce è probabilmente l'unico punto debole ma non è assolutamente determinante nel definire la qualità dei brani in cui è presente. Di contro, i vocalizzi di "Silver" sono un'ottima aggiunta alla componente strumentale già molto varia, che passa da momenti più rilassati ad altri tendenti ad un rock più sostanzioso. "The bridge of geese" salta da un'introduzione acustica folk-medioevaleggiante ad atmosfere più cupe e sbilanciate verso suoni più hard, mantenendo però sempre in primo piano la melodia. Le due chitarre sono protagoniste in "Whisky", brano dal sapore rétro diviso tra hard rock e rimandi floydiani. "Valle della luna" è il brano più lungo dell'album (quasi nove minuti di durata), e inizia con suoni soft, quasi new age, che creano un mood misterioso spazzato via dopo pochi minuti da un'epica esuberanza strumentale in bilico tra hard rock e fusion alternata ai consueti momenti melodici tastieristici. "To be afraid" vede la voce, distesa su un tappeto acustico di chitarre e flauti, incorniciare un momento strumentale malinconico, mentre le atmosfere positive vengono recuperate in chiusura dell'album con "Great event", breve brano carico di melodia con in coda una "ghost track" acustica che sembra riprendere le idee di "Silver". "Unexplored" è un gran del disco, ma è soprattutto un esempio di come sia ancora possibile creare progressive rock sinfonico di qualità che prenda ispirazione dai soliti modelli (Genesis tra tutti), che sia equilibrato e calibrato quasi alla perfezione, scritto con gusto e prodotto con perizia (la registrazione è ottima e valorizza la complessità strumentale con un mix in cui è possibile distinguere ogni strumento) e che, infine, crei un assoluto piacere all'ascolto. Per me è sufficiente per considerarlo uno dei dischi dell'anno.
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Nicola Sulas
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