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PROWLERS (2) Freak parade autoprod. 2017 ITA

Gruppo di Pesaro nato nel 2004 da non confondere con i bergamaschi omonimi, il quintetto trae il proprio nome da quella “Prowler” che apriva il primo album degli Iron Maiden nel lontano 1980. Dopo l’EP “The shadow of tomorrow” improntato come da monicker della band sui sentieri hard & heavy, il sound viene arricchito con nuovi elementi stilistici. Alcuni ritocchi di formazione portano poi ad un assestamento definitivo, che a sua volta fa giungere alla conclusione del qui presente debutto nel 2015 (ma già nel 2011 era stato pubblicato il singolo “Joseph Merrick”). In realtà le notizie sulla band marchigiana ruotano in maniera molto confusa, a partire dall’anno di pubblicazione del full-length: nella copertina del promo viene riportato il 2016, mentre sembra che sia poi stato pubblicato realmente l’anno seguente. Si è parlato di una distribuzione tramite chiavetta USB, in cui erano contenuti i brani, le foto ed il video del singolo di cui sopra (davvero duro, potete crederci) e infine – nonostante l’autoproduzione – viene poi tirata in ballo La Stanza Nascosta Records di Salvatore Papotto per la successiva distribuzione. Passando all’analisi strettamente musicale, è possibile affermare che i dieci pezzi variano spesso di stile, pur cogliendo un determinato marchio di fabbrica. Una produzione professionale avrebbe posto enfasi su composizioni che idealmente mettono sotto un unico grande tendone da circo i freaks of nature, gli scherzi della natura, qui metafora di coloro i quali vivono isolati (per un motivo o per un altro) ai margini più estremi della società. Sono quindi canzoni dai significati molto gravosi, che mostrano un’emarginazione tristemente grottesca. Le trovate migliori si individuano nelle iniziali e maggiormente prog “Golden Bricks” e “Fantastic Fanatic”, quest’ultima caratterizzata anche dall’entrata dell’ospite Luca Toti col suo sax. Pezzi in cui sembra di cogliere qualcosa di già sentito e forse nel primo brano fa mostra di sé il miglior trasformismo di Peter Gabriel con un pizzico di quei Kansas da enfatica atmosfera “tempestosa”, a cui il violino dell’altro ospite Luca Nicolini dà un contributo significativo. Dal canto suo, “Fantastic Fanatic” potrebbe ricordare i Ritual o, ancor di più, i Resistor di Steve Unruh. “Turtle Man” deve molto nella ritmica proprio agli Iron Maiden, anche se la voce di Segatori indirizza il sound verso i Budgie (si sforza comunque troppo di andare verso limiti al momento troppo ardui), per poi passare proprio a “Joseph Merrick”, meglio conosciuto ai giorni nostri come l’Uomo elefante, dal cranio deforme e pesante (morì a causa della rottura dell’osso del collo). Tralasciando la tristissima storia di questo uomo del diciannovesimo secolo, in cui la realtà supera davvero la fantasia, il pezzo vuole essere d’atmosfera ma risulta un po’ troppo lungo, con un finale che ancora una volta è di sapore maideniano, sebbene diluito.
Una costante dell’album è che i pezzi sembrano spesso muoversi a coppia: così, “On The Dusty Road” apre il momento rock & blues tendente vero la strada hard rock, territorio in cui la voce sembra muoversi meglio, tra un Bob Dylan non stonato ed un Axel Rose meno anfetaminizzato. Segue “Hotel Dante”, che per la ritmica prende ispirazione da quella “Kashmir” di zeppeliniana memoria. I Guns n’ Roses in versione ballatona virile fanno bella mostra di sé in “Another Brother’s Gone Away”, con azzeccate parti di pianoforte in sottofondo, prima di schitarrare di brutto come da copione. “Fighting All Again” sembra cominciare come un tributo agli AC/DC in cui viene innestato a forza un intreccio di assoli chitarristici da NWOBHM, mutuati a loro volta dai Wishbone Ash. Tributo alla band australiana che potrebbe continuare anche nella successiva “Not By My Side”, ma le tastiere di Massimo Trivento guardano verso il ‘Profondo Porpora’. Chiude emblematicamente il valzer circense di “Outro (Freak Waltz)”.
Ok, è stato un excursus simpatico. Se voleva essere “solo” questo, allora va bene. Volendolo interpretare come una sorta di prova generale in cui sono state messe in scena le varie influenze di questi anni di assestamento, diciamo pure che l’esordio preso in esame risulta piacevole. Di certo, non sarà così la prossima volta. Occorre una produzione differente e soprattutto decidere cosa voler fare da grandi. Sembrano esserci le possibilità per poter fare qualcosa di buono nei vari generi toccati, anche nel prog. Però occorre decidersi.



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Michele Merenda

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