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DEE PALMER Through darkened glass autoprod. 2018 UK

Quest’album merita di essere ascoltato… e lo merita per le sue qualità musicali, al di là delle situazioni inerenti al gossip e alla curiosità che può inevitabilmente generare la situazione di Dee Palmer, nato David Palmer nel 1937, transitato per alcuni anni nei Jethro Tull (tra il 1977 e ’79) e poi con una bella carriera di arrangiatore di versioni orchestrali delle musiche di grandi artisti (Beatles, Genesis, Queen e altri), fino al drastico cambiamento della sua vita, originato dalla morte della sua amata moglie Margaret, che lo ha portato nel 2004 a sottoporsi all’operazione di cambio di genere. E’ nata così Dee Palmer, e questo è il suo primo vero album solista, contenente 10 canzoni, per un totale di quasi un’ora, deliziose e dagli arrangiamenti ricchi e curati.
Certo… la voce di Dee, per quanto dai toni delicati, spesso sussurrati e quasi complici, a tratti fin troppo fragile e incerta nelle note alte, non ha molto di femminile. Ma dimentichiamoci, appunto, delle vicende personali dell’artista e concentriamoci sulla musica, la quale è costituita da canzoni dalle durate omogenee e caratterizzate da un’orchestrazione ricca ed arrangiamenti curati, dalle caratteristiche sinfoniche e delicatamente pop. Accanto a Dee in quest’album c’è una nutrita pletora di musicisti, a partire dal vecchio compagno Martin Barre ed il bassista Tim Harries (che ha suonato con Steeleye Span, Earthworks e molti altri) per continuare con una serie di musicisti classici e coristi che contribuiscono ad arricchire il suono delle canzoni. Dee, forte della sua forte e significativa esperienza nel campo, cura ottimamente gli arrangiamenti classicheggianti e si produce in prima persona, oltre che alla voce, con vari tipi di tastiere, flauto, chitarra spagnola e fisarmonica.
Le canzoni, a parte qualche eccezione, hanno tutte un incedere pacato, con atmosfere serene. La traccia di apertura “Urban Apocalypse” viene da lontano, essendo stata composta ai tempi di “Stormwatch” ed in predicato, allora, di venir inserita in quell’album; un avvio grandioso, introdotto da una parte corale, che si sviluppa nel brano forse più Prog dell’album, con tastiere importanti e ritmiche complesse come più non lo saranno nel prosieguo. Anche “Through a Piece of Darkened Glass“ ha provenienza tulliana, essendo un adattamento per voce di “Elegy”.
“The Man in the Street” è il brano più debole del lotto, con un arrangiamento simil-reggae che lascia decisamente a desiderare, ma fortunatamente si tratta solo di un episodio e torniamo subito dopo su atmosfere più allettanti, fino alla bellissima chiusura dell’album affidata a “Forever Albion”. Album che, pur con qualche piccolo punto rivedibile, è decisamente gradevole e ben realizzato, omaggiando finalmente una lunga carriera artistica piena di successi ma anche di difficili travagli personali.



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Alberto Nucci

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