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PSYCHOYOGI Dangerous devices autoprod. 2020 UK

Avevamo già avuto modo di incontrare questa bizzarra band britannica, giunta al suo sesto album, ma l’ascolto ci aveva lasciato poco più che indifferenti, pur apprezzando la particolarità della proposta. Una proposta che prevede una miscela di Canterbury, RIO, humour inglese e un pizzico d’avanguardia… il tutto a formare qualcosa che non giudicherei assolutamente cervellotico, anche se, evidentemente, il senso della melodia del Prog Rock sinfonico non risiede assolutamente da queste parti.
Le 12 brevi tracce da cui è costituito questo altrettanto breve album si trascinano abbastanza languidamente, con le parti vocali di Chris Ramsing onnipresenti, tutt’altro che lineari, poco più che sussurrate e non immuni dal ricordarci la gentilezza stralunata di Richard Sinclair, sostenute da un impianto musicale in cui il basso suonato da Izzy Stylish sembra rivestire il ruolo principale, o per lo meno quello su cui si basa l’impianto generale, assieme ad una chitarra (suonata da Ramsing stesso) tenue e quasi timida ed i vari strumenti a fiato (i sax e la tromba, appannaggio di Toby Nowell e John Macnaughton). Non ci sono tastiere ma non se ne sente la mancanza, bisogna dire. Completa la line-up la batteria di Justin Casey.
L’ascolto, si diceva, è accessibile e non particolarmente impegnativo ma richiede attenzione e la capacità di farsi cullare da quello che definirei un bel punto d’incontro tra Hatfield & The North, Gong, Cardiacs e The Muffins. L’andatura ed il susseguirsi delle tracce, almeno a livello ritmico ed umorale, è piuttosto lineare: non ci sono sbalzi di umore o ritmici che identifichino una traccia o una sezione dall’altra ed abbiamo quasi l’impressione di ascoltare un’unica composizione che si dipana quasi sempre mollemente, in modo indolente talvolta, con una batteria suonata in punta di bacchetta, una chitarra spesso arpeggiata che offre poco più di qualche contrappunto, salendo raramente in primo piano. In verità nessuno strumento si produce in particolari assoli, lasciando il centro del palcoscenico all’espressività un po’ sorniona e quasi complice della voce.
Si tratta di un album decisamente interessante, in definitiva, abbastanza breve (36 minuti scarsi) e quasi ipnotico nel suo incedere, affascinante e divertente, che mi ha piacevolmente intrattenuto e -lo ammetto- anche un po’ sorpreso.



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Alberto Nucci

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