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PLUS 33 |
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autoprod. |
2020 |
UK/FRA |
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C’erano una volta… e a dir la verità ci sono ancora, gli Outside, band di Strasburgo dedita ad un neo Prog moderatamente piacevole, anche se non particolarmente brillante. Dal 1998 La band ha dato alle stampe 5 album, di cui l’ultimo giusto quest’anno, ma poco dopo l’uscita del secondo si trovò a dover fare a meno del proprio tastierista, tra i fondatori della band. Didier Grillot, questo il suo nome, aveva deciso di muoversi dalla natia Strasburgo per provare nuove esperienze, prima di tutto in ambito musicale. Dopo un po’ di girovagare il nostro approda a Newcastle e lì comincia a metter le basi del suo nuovo progetto musicale, ancora riconducibile alla musica progressiva ma con un punto di vista piuttosto diverso rispetto al gruppo di provenienza. Assieme a lui in questo progetto c’è un gruppo di musicisti inglesi (Lloyd Wright alla chitarra, Paul Susans al basso, Adam Sinclair alla batteria e Dave Wilde al sax e al flauto) e il risultato lo possiamo ascoltare in questo bell’album. L’album, interamente strumentale, ha la forma di una sorta di concept album sui quattro elementi, strutturato i 4 suite di diversa durata incentrate su ognuno di essi (acqua, terra, fuoco e aria) più un epilogo. La durata totale si arresta qualche minuto prima della soglia dei 60 minuti. La forma musicale è incentrata sulle calde note del piano di Grillot, con le tastiere prevalentemente relegate sul sottofondo; gli altri strumenti si adattano, prima fra tutti la chitarra, a queste note notturne, dando vita a un lavoro dai connotati a tratti quasi lounge, tra il jazz e la musica classica, con le complici note dei fiati che ammiccano di quando in quando con degli eleganti assoli. Un dipanarsi tranquillo e tutt’altro che frenetico dunque. Le 5 parti della suite iniziale “Water” si muovono inizialmente (“Conjunction of Raindrops”, “Crawling Through Elastic Times” e “Perhaps I Am Not Ordinary”) in modo liquido (!) e mollemente avanzano come le placide ed intorpidite correnti di un fiume. In questo fiume arrivano poi anche delle rapide (“Sounds, Paths, Crossroads”), con conseguente innalzamento del climax della musica: le tastiere salgono di tono a disegnare mulinelli e piccoli vortici ma alla fine tutto passa e si ritorna poi su atmosfere tranquille e contemplative nella quarta parte della suite (“Contemplation”). La prima delle tre parti di “Earth” (“At Odds with the Norms”) appare più solida e materiale, con qualche distorsione in più da parte della chitarra e una maggiore orchestrazione degli strumenti, con lo spirito dei Camel che aleggia sullo sfondo. Tutto si fa più tranquillo, languido e controllato con le successive “Douce Ivresse”, e “You, Us, Them”, dominate dalle dolci note del flauto e (la seconda) della chitarra acustica. “Fire”, divisa in due parti, inizia con un brano appassionato ed avvincente (“Building Layers of Bricks”), con tastiere e chitarra in primo piano, per sfociare nella successiva “Entropy's Win?” dai connotati decisamente più rock e dalle sonorità quasi psichedeliche, rappresentando il picco emotivo dell’album. Anche “Air” consta di due parti ed il mood va di nuovo a tranquillizzarsi. “Realising” presenta note (giustamente!) eteree ed impalpabili mentre “Being” ha un’atmosfera affabile ed ammiccante. Rimane solo la conclusiva “Epilogue” che chiude l’album con le note di pianoforte che si muovono quasi da sole a cesellare un lavoro sicuramente interessante, non certo adrenalinico ma che riesce a coinvolgere l’ascoltatore con l’eleganza e la raffinatezza. Di certo piacevole ma di primo acchito non particolarmente coinvolgente, riservando forse le migliori impressioni agli ascolti ulteriori.
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Alberto Nucci
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