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PHOG |
This World… |
autoprod. |
2020 |
FRA |
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Phog è la sigla dietro alla quale si nasconde, senza grossi sforzi di fantasia, il polistrumentista francese (di Lione) Philippe Ogier, appassionato, fin dall’adolescenza, della musica di Genesis e Camel. Questa sua passione la sta riversando, già da alcuni anni, nei suoi album (ne erano già usciti due fino ad oggi, cadenzati di un anno di distanza l’uno dall’altro) per i quali si occupa di tutto, dall’intera strumentazione alla produzione, senza alcun ausilio esterno, a quanto sembrerebbe. Il primo ed unico contributo si registra proprio in quest’album, per il quale tale Ombeline presta la sua voce per delle parti vocali su due tracce…. poco più che dei vocalizzi, ad ogni modo. Generalmente non impazzisco per i lavori delle one-man-band per via del senso di artificiosità che spesso ne deriva ma bisogna ammettere che il buon Philippe sa fare le cose a dovere, frutto di un’esperienza di musicista acquisita su altri progetti su cui è impegnato a livello professionale, e le sette tracce scorrono via in modo leggero e di sicuro senza troppe artificiosità. L’ascolto quindi è piuttosto agevole e ci si può concentrare sulla musica stessa. Tastiere e chitarra sono comunque in primo piano e c’è da dire che le prime forse mancano di qualche sonorità vintage che potrebbe ben accompagnare queste sonorità. L’accento viene decisamente posto sulla melodia e le atmosfere sono generalmente ariose e di facile assimilazione, caratterizzate da un Prog rock sinfonico amabile influenzato direttamente dai due nomi menzionati all’inizio (specialmente i Camel). In linea generale i toni sono molto distesi, talvolta sconfinando addirittura nella lounge music, salvo occasionalmente decollare con ritmiche più sostenute e frenetiche, seppur sempre in modo abbastanza controllato. La chitarra ha comunque sempre sonorità hackettiane e contribuiscono in modo decisivo alla connotazione melodica dei brani. Decisamente bello il lungo brano d’avvio “The Awakening”, eclettico e dalle molte sfaccettature che, come in un caleidoscopio, si riflettono l’una nell’altra. Meno riuscita forse la successiva e più breve “Winter Storm”, dagli accenni funky. Ottima invece la terzina che chiude l’album, con momenti trascinanti che si susseguono alle deliziose atmosfere melodiche e luminose. Si tratta di un album sicuramente piacevole, abbastanza disimpegnato ma da non sottovalutare, concepito con la passione per un genere di musica che certamente troverà molti estimatori tra i nostri lettori.
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Alberto Nucci
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