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POLY-MATH |
Zenith |
Nice Weather For Airstrikes |
2022 |
UK |
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Poly-Math, gioco di parole del termine inglese “Polymath”, che sta ad indicare letteralmente la poliedricità ed allo stesso tempo – in questo contesto – sottolinea l’attitudine math del gruppo in esame. Numerosi EP ed un totale complessivo di full-length che ad oggi arriva a quattro, comprendendo i due lavori “House of wisdom | We are the devil”, usciti contestualmente nel 2018. Che il gruppo sia alla ricerca della succitata poliedricità è senz’altro vero; al trio formato da Timothy Laulik-Walters (chitarra), Joseph Branton (basso) e Chris Woollison (batteria), si era poi unito il tastierista Joshua Gesner. Per quest’ultima fatica, ecco a sorpresa l’inserimento del sassofonista Chris Olsen, che fin dall’iniziale “Zenith” contribuisce a far somigliare il quintetto agli statunitensi Trioscapes. Entrambe le compagini devono molto alle sperimentazioni jazzistiche ed impegnative (pure dal punto di vista dell’ascolto) dei King Crimson, anche se i cinque britannici sembrano più “squadrati” e “matematici”, come del resto il genere intrapreso impone. Certo, un cambiamento di rotta lo si avverte con gli ultimi due brani. “Mora” è lenta ed atmosferica, praticamente brumosa, malinconica, facendo udire gli inesorabili riverberi delle sei corde ed il serpeggiante sassofono mentre la sezione ritmica muove la sua contorta spina dorsale; “Metam” accentua l’influenza crimsoniana, rimanendo in uno stato di quieta tensione. La batteria opera sempre in controtempi, mentre singole note di pianoforte vengono ricoperte dal subentrante sax. E poi… giù con l’immancabile basso che detta i tempi intricati, a cui seguono dissonanze soliste. Ad un certo momento sembra che gli stessi King Crimson stiano procedendo in un andamento maggiormente sabbathiano (ma non di quelli più sfrenati). Un pezzo come “Velociter” è da ascoltare ed apprezzare, con tutte le sue variazioni che lo rendono decisamente più vario rispetto alla media, denotando anche un certo feeling soprattutto in conclusione. “Charger” è più ipnotica, mentre la complessità compositiva torna in “Canticum II” e “Canticum I”, entrambe, ad un certo punto, anche con qualche spunto circense. Più complessa la prima, maggiormente intensa la seconda. E prima delle due tracce conclusive, analizzate poco sopra, ecco la concitata durezza di “Proavus”. Sicuramente, questo non è un album da ascoltare frettolosamente. Anzi, necessita di più ascolti attenti e alla fine verrà anche apprezzato per essere qualcosa che va oltre certi parametri. È rivolto ad una ristretta cerchia di appassionati, ovvio, ma forse potrebbe essere pian piano apprezzato (con le dovute cautele) anche da altri fruitori.
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Michele Merenda
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