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QUEL CHE DISSE IL TUONO Il velo dei riflessi AMS Records 2020 ITA

L’originalità dei nomi dei gruppi contraddistingue il progressive di casa nostra sin dagli anni ’70. Alcune di queste band con nomi particolari hanno fatto la storia della musica italiana, altre sono finite nel dimenticatoio ed è rimasto nella memoria dell’appassionato solo l’appellativo della formazione. Questa debolezza, se così si può definire, è rimasta anche alle leve più recenti. Non fa eccezione la nuova “creatura” di Francesca Zanetta (ex Unreal City, qui impegnata alle chitarre e ai synth) denominata “Quel Che Disse Il Tuono”, un omaggio alla “Waste Land” di T.S. Eliot.
Il progetto nasce ad inizio 2019 per iniziativa della stessa Zanetta, di Roberto Bernasconi (basso e voce solista), di Alessio Del Ben (batteria, tastiere e cori) a cui si aggiunge, poco dopo, Niccolò Gallani (dei Cellar Noise, tastiere, flauto e cori). Subito la band si mette al lavoro e nel marzo di quest’anno ecco il risultato: “Il velo dei riflessi”. Si tratta di un album a tema: il personaggio principale si trova in una sala, sconosciuta, circondato da grossi specchi, ognuno dei quali contiene una figura umana, che si scoprirà essere nient’altro che una personificazione di un tratto della sua personalità che non è ancora accettata come tale.
L’album si dipana in cinque tracce per circa cinquanta minuti di sviluppo complessivo. Oltre al nome ed al sound ispirato al sinfonico italiano dei seventies, peraltro ben attualizzato, il gruppo si porta appresso anche uno dei difetti principali della produzione storica dei “tempi belli”: un apporto canoro che lascia un po’ a desiderare… Nulla contro Bernasconi, ovviamente, ma, forse sarebbe stato più saggio avvalersi di un membro esterno di qualità che potesse interpretare con il giusto “pathos” le non invadenti liriche.
L’album si apre con i nove minuti abbondanti di “Il paradigma dello specchio” ed è subito un tuffo nel passato: flauto, chitarra e le numerose tastiere (Mellotron, Moog, Hammond) che definiscono i tratti portanti della composizione, prima dell’inizio del cantato. Saltano subito all’occhio i numi tutelari della band: le Orme di “Felona e Sorona” e nomi più “oscuri” come il Balletto di Bronzo o il Museo Rosenbach. La ritmica si fa più sostenuta ed articolata lasciando spazio a vari interventi solisti di Gallani e Zanetta. Bel brano. Segue “Figlio dell’uomo”, altro pezzo che si attesta poco sopra i nove minuti. Anche qui assistiamo alla presenza di un florilegio di tastiere d’annata che sostengono al meglio la composizione ben sorretta da una ritmica sostenuta e convincente. Certi rimandi sonori ci portano ancora una volta alle Orme (più dall’album “Collage”, stavolta). Se si può fare un piccolo appunto è che forse il brano pecca di qualche eccessiva lungaggine, ma si tratta di dettagli. “Chi ti cammina accanto” rappresenta un istante di quiete (relativa...) dopo tanta magniloquenza: un flauto dominante, frammenti di chitarra, Mellotron a “fare” gli archi e tanto tanto Moog. Non sapessimo che si trattai di ragazzi della zona di Milano, un pensierino al classico gruppo prog scandinavo l’avremmo fatto…
Il quarto brano è “Il bastone e il serpente”: qui l’approccio si fa più heavy e l’interplay tastiere-chitarra elettrica più compiuto anche se non mancano importanti inserti di flauto a stemperare il tutto. L’album va a chiudersi con i quasi quattordici minuti di “Loro sono me”, un compendio dei pregi e dei difetti presenti in “Il velo dei riflessi”. Buone idee e spunti, soprattutto di tastiere, ma anche qualcosa che stona un poco: la registrazione non pare ottimale, qualche intervento non proprio “pulito” della chitarra… insomma qui si poteva fare meglio con un pizzico di “attenzione” in più in fase di produzione. Ciò non toglie che ci troviamo al cospetto di un buon album: probabilmente le troppe aspettative che hanno preceduto la pubblicazione del lavoro si sono rivelate una sorta di boomerang , aspettandosi, il popolo prog, un disco di molto superiore alla media. Così a nostro giudizio non è, pur confermandone le sensazioni, nel complesso, positive, che il ripetuto ascolto ci ha lasciato. Ricordiamo che si tratta comunque di un album d’esordio (seppur alcuni dei componenti non siano alla prima esperienza discografica) e che la band è stata fondata appena un anno fa… C’è insomma tempo e modo per “limare” e raffinare le loro indubbie qualità.



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Valentino Butti

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