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Q-BIZM Corduroy shorts Rayrecordings 2020 ITA

Si fa fatica a credere, ascoltando le prime note di quest’album, di trovarsi alle prese con un combo italiano. Viene da pensare maggiormente alle rive del Tamigi, forse, immaginandoci in qualche club londinese… se non addirittura in una piccola cittadina del Kent più a Sud-Est…
I Q-bizm non sono novellini, avendo già pubblicato un album nell’ormai lontano 2004 (“Vivid”) e tornando a farsi sentire nella primavera del 2020, con l’usuale giro di cambi di formazione ma conservando tuttavia il nocciolo della band. Questo è costituito da Stefano ETN Hunyady (chitarre), Filippo Gaetani (basso, chitarra e voce), Alessandro Riccucci (Sax), Stefano Lunardi (violino) e Thomas Murley (voce ed effetti). A loro si affiancando Francesco Corrias (batteria) e Francesco Longhi (tastiere) più alcuni ospiti.
La band si dice influenzata dal jazz-rock, dal funk e dal progressive rock degli anni ’70, con particolare riferimento a Zappa, Dave Matthews, Beatles e Steely Dan. Bisogna dire che riusciamo senza alcuna fatica a trovare tutti questi riferimenti nella loro musica e, come già accennato, mi sentirei anche di aggiungere a questi una buona dose di scena canterburyana, dai Caravan ai Soft Machine. I membri stessi della band, inoltre, definiscono la propria musica “New Progressive”… ma ritengo con una certa sicurezza che con ciò non abbiano minimamente intenzione di riferirsi a IQ o Pendragon…
Le 10 canzoni di questo breve album (appena 35 minuti) sono tutte di minutaggio piuttosto limitato, senza troppi escursionismi stilistici all’interno dello stesso brano. Circa la metà delle tracce è strumentale e in queste la vena sperimentale (e anche un po’ psichedelica) è maggiormente accentuata. I brani cantati invece (almeno… parte di essi) pendono maggiormente su una vena beatlesiana.
Ogni traccia tuttavia ha i propri connotati definiti, comunque, e la generalizzazione di cui sopra è a puro titolo indicativo. L’iniziale “Black Truck” ad esempio è cantata ma ha un forte sapore psichedelico, rimandandomi addirittura al primo album dei Pure Reason Revolution, seppur ovviamente con maggiori dosi di jazz. “3131” ha invece un forte sapore funky-jazz mentre “Just a Man” ci tiene in bilico tra Steely Dan e Soft Machine. Con “Funkraum” si torna a funkeggiare…. e poi c’è la breve (poco più di 2 minuti) “The Ghost of Castlesea”, caratterizzata da un’atmosfera misteriosa. In “Warning” i Beatles ci vengono a trovare per la prima volta… e così via, in un appassionante altalena stilistica che tuttavia viene percorsa vivacemente, senza particolari intoppi, quasi sempre con ritmiche brillanti e praticamente costanti.
Album decisamente gradevole e ben suonato e che, purtroppo, passa via in un attimo.



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Alberto Nucci

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