Non sto a raccontarvi tutte le vicissitudini che mi hanno portato a scrivere questa recensione proprio mentre stiamo finendo di impaginare il numero ed ho il fiato di tutti i redattori sul collo. Spero comunque vorrete perdonarmi eventuali baggianate riportate qui di seguito (già gli articoli mi vengono così e cosi quando ho giorni di tempo per scriverli, figuratevi quando ho solo una mezz'ora scarsa e sono circondato da una atmosfera intimidatoria). Cominciamo subito col dire che quella d'esordio dei ROOTS OF CONSCIOUSNESS è un'opera piuttosto atipica per il genere, che comunque ben si colloca all'interno di un certo modo di far prog tipicamente americano. Un modo nel quale tutti i barocchismi e le pomposità sono eliminati per far posto ad una musica tormentata e talvolta angosciante, ma comunque sempre ricca di fascino. Se i primi brani l'anno quasi esclamare: "ma cosa c'entra questo col prog?", proseguendo nell'ascolto ci accorgiamo che la musica dei R.O.C, può rivestire una precisa posizione all'interno del genere, per molti versi agli antipodi rispetto a bands odierne come ANGLAGARD, ma comunque meritevole di considerazione. I cantati tormentati che si sovrappongono alle chitarre frenetiche e all'organo essenziale saranno al primo impatto un autentico colpo allo stomaco, ma una volta assimilati vi troverete come me a sentire il bisogno di riascoltare ogni tanto il frutto della pazzia creativa dei ROC. I termini di riferimento sono difficili da individuare, probabilmente non sarebbero fuori luogo alcuni nomi anche esterni alla cerchia prog; nel nostro ambito citerei comunque alcune assonanze con i VDGG, anche se la concezione musicale dei R.O.C, si allontana per molti versi da quella della band di Hammill. In definitiva un disco particolare e quasi stordente, per certi versi una sorta di sfida per l'ascoltatore. Forse non emozionante come ECHOLYN o DISCIPLINE, ma sicuramente meritevole di non cadere nell'oblio.