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RAVANA Common daze Prognetik 1996 NOR

Una copertina spoglia, immagine di palazzi. Voci di bambini in sottofondo. Ecco che arriva un violoncello lontano ad offire i primi segnali sonori, due minuti di cupa introduzione e poi via con "Urban Child", il primo vero brano dell'album, con il dialogo sincopato tastiere/batteria/cello che fa da preludio all'ingresso di una chitarra ruvida e decisamente poco progressiva. E' quindi il momento del cantato... e qui cominciano le note stonate. Le parti vocali di Sverre Olav Rodseth, con la loro vena stile new prog più lamentoso, sono infatti la cosa che meno ci è piaciuta del CD; non tanto per la loro imperizia, quanto piuttosto per lo scarso allineamento che spesso mostrano rispetto alla musica. Se la cosa non gioca certo a favore della più completa riuscita del disco, ciò permette tuttavia di concentrarsi sulla vera componente positiva della proposta dei RAVANA, ossia le partiture strumentali, che rappresentano una decisa sferzata di novità nell'ambito del progressive. Le chitarre dure, quasi grange, le tastiere che evitano di coprire il lavoro degli altri componenti limitandosi all'essenziale salvo poi lanciarsi in gustose partiture jazzate o improvvise schegge sinfoniche, il basso bello potente che va a riempire gli spazi che gli altri strumenti non si curano di occupare ed infine il flauto e il violoncello, anime delicate di un contesto che lo è assai poco, sono infatti tutti strumenti utilizzati in una chiave che fuoriesce dai pur ampi canoni del prog-rock; e ciò nonostante l'inserimento dei RAVANA in questo genere non appare fuori luogo. E' comunque nella sua volontà di rottura con le tradizioni progressive che vanno ricercati i pregi maggiori di questo "Common daze", album che probabilmente cozzerà con le orecchie di molti, ma che altrettanto probabilmente non mancherà di affascinare chi, assieme al prog, ama ascoltare anche del sano rock alternativo. La prima produzione della Prognetik non è dunque musica per palati fini, ma il progressivo urbano dei RAVANA ha spalle larghe e troverà certamente il modo di farsi spazio. Noi saremo i primi a rallegrarcene.

 

Riccardo Maranghi

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